Zia Mame di Patrick Dennis è uno di quei libri che incrociano sempre il nostro sguardo alla solita puntatina in libreria, ma che, per un motivo o per l’altro – sindrome dello Studente Squattrinato, animo dello Scozzese e altre varie ed eventuali – rimangono lì, dolenti, a guardarci andare via, quasi come bimbi con le braccine allungate in attesa di un abbraccio che sistematicamente viene negato.
Poi, un bel dì d’inverno, quando per strada aleggiano temperature da Polo e in libreria venti, godibilissimi gradi, il nostro spirito approfittatore emerge dal letargo e ci impone ispezioni fra gli scaffali più pacate e ponderate. Allora finiamo per prenderci il nostro tempo nell’esaminare ogni singola costa di libro per leggerne il titolo. In seguito, ci cade l’occhio proprio su quel volume che abbiamo così tante volte bistrattato, e spinti da un improvviso istinto genitoriale lo solleviamo, lo soppesiamo fra le dita, ne leggiamo la quarta di copertina. Infine lo prendiamo in custodia fino alla fine del sopralluogo, fino a quando, s’intende, lo appoggeremo, certi della nostra adozione, sul bancone davanti al cassiere di turno.
Questa, ove non inquinata da difetti di memoria, è stata la storia della mia copia di Zia Mame.
Ma alla zia Mame in carne e ossa, alla protagonista dell’omonimo romanzo, cioè, questa libertà di scelta è stata preclusa. Non ha potuto scegliersi un bimbo da adottare, lei, perché gliene è stato affibbiato uno in affidamento: il nipote, a essere precisi, un ragazzino di anni dieci cui è appena morto il padre, fratello di zia Mame.
La recensione
Alla morte del padre, Patrick, bambino decenne, viene affidato alle cure e tutele di una zia, ultima parente rimasta in vita, la quale lo prende volentieri sotto la sua egida. Da qui la trama è molto semplice e si snoda attraverso le peripezie che vedono, come protagonisti, zia Mame e l’orfanello in questione. Il libro si configura come un romanzo atipico del suo genere perché, sebbene segua un arco temporale che corre dagli eventi più lontani (l’incontro fra zia Mame e l’orfanello) agli eventi più recenti, le vicissitudini della strana coppia sono intervallate, all’inizio di ogni capitolo, da flashforward di un Patrick ormai adulto che fungono da cornice per l’intero romanzo.
In pratica Patrick, ormai uscito dal nido adottivo, coglie l’occasione data da un eccentrico articolo di giornale per ripercorrere mentalmente la propria vita e raccontare al lettore, in prima persona, le peripezie che negli anni lo hanno visto coinvolto insieme a quella mina vagante della sua tutrice, zia Mame. Ogni capitolo può leggersi in realtà come un racconto autoconclusivo. Così riuniti, in ordine cronologico, col brillante espediente dell’articolo giornalistico, questi aneddoti, esposti con uno stile semplice ma mai banale e conditi da un’ironia sottile e irresistibile, danno vita a uno dei miei acquisti più azzeccati degli ultimi anni.
Una dinamo di zia
Nonostante sia di Patrick l’identità narrante, però, è zia Mame la vera diva del romanzo e a lei è infatti dedicato il titolo del libro. Forte della propria personalità vivace, prorompente e invadente, zia Mame esercita un fascino magnetico e sembra attrarre a sé non solo gli occhi del mondo newyorkese degli anni Venti (scenario in cui si ambienta il romanzo), ma anche e soprattutto il nipote, che viene trascinato, volente o nolente, in un vortice di satin colorati, di frizzi, di lazzi, di scuole al di sopra di ogni avanguardia, fra i campi coltivati del Sud degli Stati Uniti, su atolli vacanzieri, fra incidenti su incidenti l’uno più spassoso dell’altro.
All’osso di tutto, l’evoluzione del rapporto fra Patrick e zia Mame: fra orfanello sperduto e tutrice prima, fra adolescente e tutrice poi. Non è raro assistere a uno scambio di ruoli grazie a una dinamo di zia che, malgrado la sua età, mostra una vitalità e un entusiasmo inossidabili. Il nipote, ligio al dovere, diventa così, all’occasione, il Grillo Parlante della zia quando questa si ritrova – e si ritrova spesso – in pantani di guai da cui è possibile fuggire solo con una sana dose di coscienza propinata dall’esterno.
Pantano dopo pantano, l’infelice conclusione arriva comunque troppo presto. E non me ne vogliate per quell’infelice, perché non si tratta di uno spoiler, no: bensì, sarà la descrizione del vostro stato d’animo nell’accorgervi che non ci saranno altre spassosissime pagine da sfogliare.
Dennis, e di riflesso la sua creatura dalla voce narrante, possiede (possedeva, perché dal 1976 non è più) quella rara capacità di osservare il mondo con il distacco necessario a coglierne gli aspetti più strani e amplificarli fino a ottenerne una caricatura. È facendo uso di questa capacità che l’autore ha delineato e impreziosito il suo lavoro, usando uno stile comico che, in quanto a semplicità e personalità, non prende lezioni da nessuno.
La lepisma libraia