Preambolo necessario: ringrazio di cuore Nicola Skert per avermi inviato una copia digitale di Stretto in cambio di una recensione onesta. Chi volesse fare richiesta di recensione può consultare questa pagina (salvarsela nei segnalibri, più che altro, perché le recensioni degli esordienti sono momentaneamente sospese causa leggi universali che impongono alle mie giornate un monte di ventiquattro ore non espandibile).
E poi vorrei ringraziare l’autore per un’altra ragione: per avermi trasmesso un brutto caso di dislocazione della mandibola insieme a una crisi di crampi al diaframma. Mentre lo specialista scribacchia la parcella che solo lui sa decifrare e che spedirò al diretto interessato per risarcimento dei danni fisici, torniamo alle Cose Serie (se ci siamo mai stati): la recensione di Stretto. Ordunque, vediamo che meraviglie si celano oltre la soglia di questo aggettivo maschile singolare.
Titolo: Stretto
Autore: Nicola Skert
Genere: humor
Editore: autopubblicato Amazon
Pagine: 196
Un feto di nome Bert prende incredibilmente coscienza di sé. Appena in tempo, perché presto intuisce che il mondo là fuori non sta girando per il verso giusto. Litigi e tensioni scagliano il papà lontano da casa e la madre reagisce maltrattando sé e la creatura che porta in grembo. Bert fugge dall’utero e finisce casualmente in una scarpa del padre dalla quale nessuno riesce più a estrarlo. E’ l’inizio surreale di una vita stravagante, dettata dall’imprinting intrauterino di fuga da tutto ciò che sente “stretto”. Finché un evento apparentemente banale lo metterà di fronte a un destino davvero imprevisto. Una divertita riflessione sul mito della fuga. E del diventare adulti.
Stretto: la recensione
Definire Stretto un libro che narra di qualcosa è una descrizione riduttiva. È un romanzo di formazione, una risata che tira l’altra, una sottile occasione di denuncia. E Bert, il nostro protagonista, è uno sciame sismico di bambino in cerca di una zolla di mondo sopra la quale assestarsi.
I sismografi di Bert si eccitano fin dalle calde, umide rotondità del ventre materno: l’aspirante neonato, che il “termine” di gestazione lo intravede ancora e solo come un cerchio abbagliante in fondo al tunnel, decide che ne ha abbastanza. Vuole accelerare i tempi, lui, perché le morbide pareti del sacco amniotico cominciano a premergli sui gomiti e sul testino. Ci sta stretto, ecco.
Bert è tutti noi
Al culmine di un parto casereccio che sfida tutte le leggi approvate dell’anatomia umana, senza per questo perdere in godibilità, anzi, Bert ha giusto il tempo di collaudare il suo paio di polmoni nuovo fiammante prima di catapultarsi dentro a una delle scarpe di papà, e lì crescere come un Loto d’oro in passiva attesa finché dalle pieghe di un camice bianco sorride lo scintillio di un paio di forbici. Allora le strumentazioni vanno in tilt, il sismogramma sfora dal tracciato e Bert, in piena magnitudo di nove virgola ventordici, si libera ancora una volta di ciò che gli va stretto.
Ma questo è solo il primo round delle sue (dis)avventure. Il bambino prematuro si farà un ometto prima, un giovane esemplare di adulto poi. Nella sua continua ricerca di uno spazio aperto, di una dimensione di realtà che non lo opprima di mente e di corpo, di una soluzione al laccio emostatico che gli stritola la vita, Bert evaderà perfino dai confini del continente. A lui e alla sua indole da latitante, volenti o nolenti, ci si affeziona presto, e al ritmo del suo respiro viene anche naturale sincronizzarsi. Il suo viaggio iniziatico è anche un po’ il nostro.
D’altronde, è l’archetipo dell’imperfetto essere umano: non siamo tutti in cerca di un atollo personale nel mare ribollente del mondo?
Un assurdo che denuncia
Come quello del miglior Benni, l’umorismo di Stretto si avvale dell’assurdo per indurre al buonumore e nel frattempo smuovere la coscienza.
Non è l’assurdo scomodo e fine a se stesso di chi si sforza fino al prolasso rettale di far ridere con farneticazioni di aria fritta, ma l’ironia intelligente, acuta e squisitamente essenziale delle migliori caricature, quella dello scrittore che ha occhi per inquadrare da lontano un angolo di realtà, lo cattura in un rettangolo di dita e ne deforma e ne esagera i tratti perché tutti i lettori possano viaggiare oltre le pagine di cellulosa e toccare i personaggi con mano, percepirne le emozioni e gli umani difetti. La più efficace denuncia sociale è quella che in superficie non nasce come tale. Quella, insomma, che non si prende sul serio.
L’assurdo di Stretto è un ossimoro. È più realistico della stessa realtà e per questo mi levo il cappello.
Per concludere
Spensierato ma serio, assurdo ma intelligente, originale fin dall’artwork di copertina. Ce ne fossero, di scrittori così attenti. Mission impossible per un possibile sequel: la fuga di Bert dal Sistema Solare.





La lepisma libraia