Buon inverno imminente, cari lettori. The Outsider (“l’estraneo”) di Stephen King, uscito nelle nostre librerie da qualche settimana, è proprio il romanzo da leggersi quando le giornate si accorciano e al di là del camino comincia a soffiare il vento tagliente tipico della stagione invernale o dell’autunno inoltrato. D’altronde, King è il maestro dell’orrore e l’atmosfera nuvolosa e fredda di questo ultimo stralcio di novembre contribuisce ulteriormente a intorpidire le ossa (ma ai geloni da bora preferirò sempre e comunque i brividi di un buon romanzo).
Mi accorgo di giungere un po’ in ritardo, perché ne è passata di acqua sotto i ponti dalla mia ultima recensione: The Outsider è stata una lettura lunga, più sofferta del necessario. Quanto necessario lo quantificheremo nella recensione vera e propria alla fine dello specchietto riassuntivo.
Titolo: The Outsider
Autore: Stephen King
Genere: giallo/horror
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 530
La sera del 10 luglio, davanti al poliziotto che lo interroga, il signor Ritz è visibilmente scosso. Poche ore prima, nel piccolo parco della sua città, Flint City, mentre portava a spasso il cane, si è imbattuto nel cadavere martoriato di un bambino. Un bambino di undici anni. A Flint City ci si conosce tutti e certe cose sono semplicemente impensabili. Così la testimonianza del signor Ritz è solo la prima di molte, che la polizia raccoglie in pochissimo tempo, perché non si può lasciare libero il mostro che ha commesso un delitto tanto orribile. E le indagini scivolano rapidamente verso un uomo e uno solo: Terry Maitland. Testimoni oculari, impronte digitali, gruppo sanguigno, persino il DNA puntano su Terry, il più insospettabile dei cittadini, il gentile professore di inglese, allenatore di baseball dei pulcini, marito e padre esemplare. Ma proprio per questo il detective Ralph Anderson decide di sottoporlo alla gogna pubblica. Il suo arresto spettacolare, allo stadio durante la partita e davanti a tutti, fa notizia e il caso sembra risolto. Solo che Terry Maitland, il 10 luglio, non era in città. E il suo alibi è inoppugnabile: testimoni oculari, impronte, tutto dimostra che il brav’uomo non può essere l’assassino. Per stabilire quale versione della storia sia quella vera non può bastare la ragione. Perché il male ha molte facce.
The Outsider: la recensione
I “grandi” non sono sempre una garanzia di perfezione. Me lo ha suggerito La scatola dei bottoni di Gwendy, a inizio anno, e me lo ha ora confermato The Outsider. Sembra quasi che il Re sia stanco della corona, che voglia lasciare il soprannome in eredità a una nuova generazione di aspiranti sovrani dell’horror, al contrario di una famosa, rugosa e coriacea vecchina al di là della Manica che il trono se lo è saldato alla schiena con le sue radici di quercia. Forse, anche regnare stanca.
La cosa certa è che King non ha più l’ispirazione di un tempo e dove prima non aveva problemi a piazzare i punti di conclusione dove andavano piazzati, ora tende a perdersi nelle sue stesse opere, come un escursionista d’alta montagna che si avventurasse fra i boschi senza una cartina con cui rintracciare il sentiero verso valle. Un vagabondo senza meta, quasi. Ma andiamo con ordine.
A Terry Maitland non è dato il dono dell’ubiquità… o sì?
Terry Maitland lo hanno visto. Lo hanno visto il vicino della porta accanto, il dirimpettaio, la formica fra gli steli del prato. Ci sono testimoni oculari di un ampio spettro d’età che, mano sulla Bibbia e sugli occhi, son pronti a sostenere davanti a una giuria di averlo riconosciuto quella sera. Chi al parchetto chi alla stazione, addirittura c’è chi l’ha notato insieme alla vittima prescelta prima che quest’ultima venisse immolata nel più disumano e disgustoso dei delitti.
Insieme ai resoconti dei testimoni, le prove forensi e incontrovertibili del DNA piantano un altro chiodo nella bara del presunto omicida. Estirparlo significa violare le leggi stesse della fisica: come potrebbe una persona trovarsi contemporaneamente in due luoghi diversi? La meccanica quantistica di Schrödinger non si concilia con la biologia del corpo umano.
Eppure, l’imputato alza gli scudi e si difende con una versione dei fatti che prende le autorità giudiziarie in contropiede. No, quella sera lui non era in città. E sì, ci sono testimoni che lo possono assicurare. Soprattutto, ci sono prove altrettanto tangibili e inequivocabili che convalidano le sue dichiarazioni, per quanto assurde possano suonare.
Insomma, Maitland ha un alibi d’acciaio. E le gambe di Ralph Anderson, il detective che ha condotto le indagini e che del rispettabile Maitland ha ordinato, in spregio ai protocolli, l’arresto in pubblica piazza davanti a una folla di sbigottiti spettatori, cominciano a tremare come gelatina. The Outsider è anche la sua storia: quella di un uomo che, sicuro del suo istinto e con un pizzico di umana rabbia, si avventa, con un colpo basso, sull’avversario girato di spalle. Quella di un uomo di raziocinio che deve scendere a patti con ciò che con logica non ha spiegazione.
La prima metà del romanzo
Le prime 250 pagine di The Outsider vedono il detective da una parte e l’imputato dall’altra, ciascuno con la propria verità in tasca e una squadra di assistenti a consigliare la prossima mossa. Avvocati e investigatori in gara a chi ha l’ultima prova empirica per difendere il cliente o infliggere il colpo che condannerà l’assassino Terry Maitland all’iniezione letale.
Mentre Maitland nega il suo coinvolgimento nell’uccisione del ragazzo, Anderson cerca una prova definitiva per schiacciarlo. Entrambi hanno qualcosa da perdere: lui la vita, l’altro la carriera. Dato il maggior peso della prima, è assicurato che Maitland, reo o innocente che sia, ce la metterà tutta per segnare un punto a suo favore.
Ma come si dice? Fra i due litiganti…
L’outsider gode
Non c’è King senza il soprannaturale, e qui, paradossalmente, comincia il terreno sconnesso.
La prima metà di The Outsider è quasi un romanzo a sé. Un legal-thriller incompiuto, lo si potrebbe chiamare, e popolato dalle figure ricorrenti di questo filone: i componenti della scientifica, gli avvocati difensori, i detective. E ancora: gli esami del DNA, i ritrovamenti, le perlustrazioni…
Poi c’è l’outsider, che si nutre di paura (tema, questo, già preso in prestito negli scritti di King, vedasi It) e che sghignazza nell’oscurità dove solo le creature della sua risma trovano conforto e tranquillità. L’outsider è lo spettatore passivo che si ingozza di popcorn davanti al maxischermo di un IMAX. È l’esibizionista che se vede due randagi azzuffarsi per strada, invece di separarli li aizza ed estrae lo smartphone per filmarli. L’outsider è un ladro di volti, di memorie, di innocenti.
È un estraneo che rimane nell’ombra del retroscena, che preferisce la manipolazione all’azione. Così instilla la paura: se non lo riconosci, se davvero può essere chiunque… non puoi fidarti neanche del tuo riflesso allo specchio.
Il lettore mette il broncio
Tutto è bene, in The Outsider, finché si rimane confinati nel mondo razionale. Fino a quando al lettore è dato congetturare su come sia possibile trovarsi qua e là simultaneamente, su chi abbia ragione, cioè fino alla metà del libro. Finché, insomma, al lettore viene data in pasto la promessa di una soluzione originale e soddisfacente.
Dopo un tale crescendo di aspettative da perfetto legal-thriller, affidarsi a un “daemon ex machina” è tutt’altro che una soluzione originale e soddisfacente. È la via più diretta per scontentare il lettore, come sono per lo studente gli appunti da baro a carattere 3 infilati nella scocca della calcolatrice. Quando sai che avresti potuto impegnarti davvero, il dieci e lode lo incassi con un sorriso sulle labbra e un sapore di bile in bocca. Quando ti accorgi che King non si sfrutta al massimo e si accontenta della conclusione più ovvia, quella cioè del soprannaturale, succede esattamente lo stesso.
Come ne La scatola dei bottoni di Gwendy, menzionato all’inizio della recensione, dunque, The Outsider finisce dritto nel baratro delle idee brillanti ma mal riuscite. Il finale è ancora una volta sbrigativo e non ripaga il numero di pagine macinate per raggiungerlo (qui più di 500, non proprio una bazzecola). I personaggi, almeno loro, risultano ben sviluppati. Le loro fobie, manie, gioie segrete e gelosie sono molto realistiche. Anche l’elemento horror è presente, ma solo dalla seconda metà in avanti. La prima parte, si sarà capito, è più asettica dell’ala di un ospedale, ma è quella che funziona.
La figura appena accennata dell’outsider, parente di lunga data con l’El Cuco spagnolo, meriterebbe di essere approfondita e collocata in un altro scenario. Non merita di essere ingabbiata in questa storia, non con le premesse di un thriller fondato sulla scienza e sulla deduzione logica.
Per concludere
Cinquecento pagine per sviluppare e cinque per concludere. King si lascia, ancora una volta, tentare dalla convenienza di un finale banale e frettoloso. È un romanzo dalla doppia faccia: la prima metà non ha i muscoli in sincrono con la seconda.
Oh, e state attenti, voi che non conoscete Mr. Mercedes. Hic sunt spoilers.
La lepisma libraia
Stephen King accarezza la sua paura primordiale, che è sempre la stessa, comunque la travesta: un pagliaccio, un pazzo omicida, uno stragista distopico e malefico, per dirne alcuni. Non so cosa abbia subito da piccolo, se è così, ma lui riesce sempre a far entrare il lettore in quella zona priva di ogni certezza dove, guarda un po’, si incontrano solo soggetti dalla totale e istintiva cattiveria. È solo l’insicurezza per quelli che ci rubavano la nostra figurina più bella o ci sporcavano il grembiule senza motivo? Sarebbe troppo poco.
Ma c’è quella porta che dà su una stanza buia e senza pavimento dentro ognuno di noi, e lui la apre, si scansa, e ci invita ad accomodarci.
Personalmente non mi piace l’horror puro, però lo tollero in storie come questa perché la traccia era una sfida degna del Re.
E nonostante avrei preferito la vocazione poliziesca, per cui risolverla col soprannaturale, anche se attenuato, è comunque un depotenziamento, King è un narratore formidabile e leggerlo vale sempre.
Ciao Francesco, grazie del commento.
Hai ragione: leggere King vale sempre, perfino quando la trama imbocca risvolti deludenti. Anche lavori come Elevation, di cui ho un’opinione tutt’altro che lusinghiera, vantano uno stile da cui c’è da prendere esempio.
Concordo in tutto con la recensione.
La figura dell’Outsider meritava un approfondimento, magari una parte del romanzo con la sua soggettiva.
Anziché essere uno dei personaggi principali, è diventato uno strumento per il finale. Un King in forma avrebbe sviluppato l’ultima parte del romanzo in 150 pagine, non in 5. E che dire di tutte le minacce di vendetta fatte? Questo romanzo è stata una delusione. E per fortuna che avevo già letto la trilogia di Mr. Mercedes (che, dopo questo, rivaluto decisamente). Che sia anche una mossa commerciale, per spingere il lettore verso trilogia con Bill Hodges?
Che King stia vendendo il proprio nome è un dubbio che ha stuzzicato anche me, specialmente dopo la pubblicazione di Elevation.
Appena finito.
Premetto che non mi è dispiaciuta la trilogia di Mr. Mercedes, anche se , a mio parere, l’unico vero motivo per il quale regge sia il personaggio Brady Hartsfield che trovo azzeccatissimo.
La vostra recensione mi vede d’accordo al 100% “the outsider” parte molto bene, legal thriller nel quale ci si aspetta qualcosa di soparannaturale ( si sta pur sempre leggendo King!) ma così come è stato sviluppato delude un bel po’!
Riprendere poi il personaggio di Holly sarebbe potuta essere una buona idea, ma magari per in capitoli, e non farla diventare la chiave della seconda parte del libro…aggiungo che i “buoni” della trilogia di Mr Mercedes e di Outsider sono così scontati da risultarmi veramente antipatici.
Sono del parere che King potrebbe lasciarsi andare a qualcosa di imprevisto, che so, un volume senza vamipretti, alienucci, zombettini e mostriciattoli in generale (vedi “La lunga marcia”.
Tutto sommato deluso, non lo consiglierei.