In un panorama sempre più internazionale, sapersi destreggiare fra lingue diverse da quella madre è indispensabile per restare al passo con le esigenze dei nostri tempi. Se da lettori uniamo l’utile al dilettevole attraverso la lettura di libri in lingua originale, apriamo anche la porta a migliaia di opere mai importate nel nostro Paese.
Qualche mese fa, nella prima tappa di questa rubrica a cadenza casuale, abbiamo corso per i corridoi del Museo dei Ladri insieme all’indomita Goldie. Oggi vi porto nel limbo che sta fra la veglia e l’incoscienza del sonno profondo, quella landa incoerente e inconsistente che è da anni oggetto di studi da parte di scienziati e fonte di mirabili idee per registi e autori visionari. Vi porto, insomma, nel Regno dei Sogni.
Perché consiglio questo libro?
Dreamland non è un saggio filosofico né un manuale di medicina. È un romanzo fantasy, e neanche dei più riusciti (lascia con la sete in gola, per dirne una). Perché, allora, ne consiglio la lettura?
Perché quello onirico è un ambiente di cui si discute sempre troppo poco. I sogni sono fondamentali per il benessere del nostro organismo (è attraverso di loro che consolidiamo le memorie della veglia, per esempio), eppure, quando apriamo gli occhi e scopriamo che alcune di queste fantasie sono filtrate nel mondo dei desti, non ci soffermiamo quasi mai ad analizzarle. Le dimentichiamo con la stessa spontaneità con cui le concepiamo nottetempo.
A chi lo consiglio?
A chi ha acquisito almeno un B2 in inglese. A chi, sopratutto, si è chiesto cosa sia un sogno lucido e ha maturato abbastanza interesse da volerne testare gli euforici effetti in prima persona.
La lepisma libraia