[Recensione] “Salvare le ossa” di Jesmyn Ward

Nel 2012 usciva Re della terra selvaggia. Reclamizzato come film fantasy sui palinsesti cinematografici italiani, è stato trattenuto fuori dal cono di luce dei riflettori. Ha dunque fatto una comparsata sulle reti televisive, qualche anno più tardi, riscuotendo un modesto indice di ascolto. Se rientrate nella percentuale che finora se lo è fatto scappare, l’ovvio consiglio è di colmare la lacuna. In caso contrario, lascio a voi il piacere di scovare le differenze e i parallelismi con Salvare le ossa di Jesmyn Ward.

Titolo: Salvare le ossa. Trilogia di Bois Sauvage. Vol. 1
Autore: Jesmyn Ward
Traduttore: Monica Pareschi
Genere: drammatico/young adult
Editore: NN Editore
Pagine: 316

Un uragano minaccia la città di Bois Sauvage, Mississippi. Esch ha quattordici anni ed è incinta; suo fratello Skeetah ruba avanzi di cibo per i cuccioli di pitbull che stanno morendo nella polvere, mentre Randall e Junior cercano di farsi valere in una famiglia che sembra non conoscere la solidarietà. Nei dodici giorni che precedono l’arrivo devastante dell’uragano Katrina, i quattro fratelli orfani di madre si sacrificano l’uno per l’altro come possono. Uno sguardo potente e straziante sulla povertà rurale, Salvare le ossa è un romanzo rivelatore e reale, innervato di poesia.


Salvare le ossa: la recensione

Salvare le ossa, libro primo della trilogia di Bois Sauvage, è un ritratto sulla violenza dipinto a tonalità d’amore.

La prima pennellata di Jesmyn Ward è bianca come il pelo porcellana di China, una femmina di pitbull in procinto di partorire sul pavimento sporco di una baracca. Sotto allo sguardo attento del suo padrone, il sedicenne Skeetah, e a quello del punto di vista narrante Esch, China sforna una cucciolata di futuri guerrieri. Il suo amore verso i piccoli sarà quello inaridito e incostante di chi ha disimparato l’istintivo affetto materno sostituendolo con l’impulso omicida dei cani da combattimento.

L’amore tra Skeetah e China, invece, fluisce costante, puro e spiritualmente illimitato. Skeetah sta al suo cane come Laira Belacqua sta al suo daimon: due anime distinte ma interdipendenti, testa e coda della stessa moneta. Impegnati a disconoscere il resto del mondo al di là del perimetro dei reciproci abbracci, non sanno di essere oggetto di malinconica invidia.

Alla sorella Esch, che ama, e al coetaneo Manny che non corrisponde, si sovrappone infatti la tragedia greca di Medea e degli Argonauti. Vestendo i panni sporchi di un moderno Giasone, Manny volta le spalle e declina qualsiasi paternità verso il figlio che Esch scopre di portare dietro agli spigoli smussati di un corpo dalla femminilità acerba. Esch è stata costretta a crescere come un virgulto solitario, esile ma corazzato di spine, in un mondo degradato che sembra tagliato apposta per l’irruenza maschile. Orfana di madre, il cui amore incorporeo è una presenza costante che aleggia nella sua mente in forma di buoni consigli e nostalgici ricordi d’infanzia, Esch dovrà scendere a patti con la nuova rotondità del suo ventre. Per questo identificherà in China, anche lei madre inesperta, una guida da cui imparare il significato di maternità.


Le altre tonalità d’amore

Randall, coi suoi diciassette anni, è il maggiore dei fratelli. In uno scenario in cui i più scialacquano i loro giorni in una mera lotta per la sopravvivenza, lui palleggia per il campo da basket e punta in alto, nel gioco come nella vita vera: ogni lancio che attraversa il canestro segna un passo in più verso il college e la fondamentale borsa di studio per frequentarlo. Figlio non modello, ma l’unico addomesticabile e vagamente addomesticato in un branco di belve con le orecchie retratte.

Amore infantile e a tratti asfissiante è quello che Junior, sette anni appena, nutre per i suoi fratelli più grandi. Se non è andato a infilarsi nei cunicoli fangosi sotto alle fondamenta di casa, si può star certi di trovarlo nel raggio d’azione delle braccia di Randall. D’altronde è lui la sua figura di riferimento, il faro all’orizzonte del mare aperto, il destinatario di imprinting. Il surrogato dell’amore paterno di cui lui non ha mai beneficiato e di cui i suoi fratelli sono stati privati. L’amore di madre ha raggiunto il picco alla sua nascita per poi spegnersi nel sacrificio per eccellenza: la donna che baratta la propria vita per quella del figlio.

Perfino dopo queste premesse, Ward è ben lungi dall’aver esaurito gli spazi vuoti sulla tela. E sulla tavolozza rimane ancora una varietà d’amore da miscelare, l’ultima: l’amore di un padre che affoga la vedovanza nell’oblio della birra. Il suo cuore, come quello indurito di China, è mal funzionante. Atrofizzato dal dolore e dalla solitudine della perdita, difetta di energie per interessarsi davvero dei figli, eppure non ha perso il suo sesto senso.

Come la leonessa che fiuta il bracconiere ancora prima di vederne il fucile, il padre di Esch annusa per primo il pericolo nell’aria del Mississippi. Sprangate le finestre, ordina, fate incetta di acqua potabile e di carne in scatola. Consapevole di incorrere nel rischio di guadagnarsi l’appellativo di svitato di Bois Sauvage, attirerà a sé tutta la famiglia, o tenterà di farlo, in una disperata missione di rinforzo strutturale della casa. Perché?, chiedono i figli alzando il sopracciglio. Perché è in arrivo un uragano. Un’alzata di spalle, giovani occhi che ruotano spazientiti nelle orbite. Ne abbiamo avuti tanti, che vuoi che sia?

Di lì a un grappolo di giorni, quell’uragano sarà battezzato Katrina. E siamo a Bois Sauvage, in Mississippi, dove le calamità naturali non si consumano dietro lo schermo del televisore a migliaia di chilometri di distanza, ma infuriano appena al di là del vetro traballante di una finestra…


La distruzione ha nome di donna

China è l’incubo dei cani da arena. Sfila fra di loro con la corona in testa, al pari di Madre Natura che, con un ritmo fortuito e senza favoritismi, con un colpo di scettro ricorda a tutti chi comanda davvero. In quanto a Esch… dirò solo che avrà la sua occasione per sfoderare le unghie e non mancherà di sfruttarla a dovere. Nella comunità maschiocentrica di Bois Sauvage, insomma, la femminilità è distruzione.

Non a caso, Esch si serve di China e della mitica Medea, figure femminili passionali, violente e vendicative, come chiavi di interpretazione della squallida realtà che la circonda. Le ammira e al tempo stesso le teme, perché pensa inconsciamente di condividerne il destino. Come Hushpuppy, Esch interiorizza il mondo esterno in forma di immagini e simbolismi e si sente parte integrante di un universo che pulsa, vive e respira dal più infimo sasso al più maestoso elefante. C’è dunque un senso di predestinazione che vela la realtà come restituita dai suoi occhi di adolescente.

Ogni metafora che Ward verga sulla pagina è unidirezionale, tesa a profetizzare l’arrivo dell’entità distruttrice per antonomasia: l’aria è densa, stagnante e impregnata d’acqua, tanto che alla protagonista quanto al lettore pare quasi di respirare attraverso una garza. Il ritmo della vita nella Fossa, dove sorge la casa della famiglia di Esch, viene scandito, più che dal ticchettio degli orologi, da gocce di sudore che cadono a punteggiare la terra rossa sotto ai piedi. Delle comodità della vita dell’entroterra, poi, a Bois Sauvage non riesce a spingersi nemmeno l’eco, figurarsi uno smartphone con tutti i circuiti intatti. Non si chiama estate quella che non viene sconquassata da almeno un paio di tempeste tropicali. Flora e fauna devono imparare ad adattarsi e risollevarsi, pena l’estinzione, perché non c’è cementificazione che tenga alle forze primordiali della Terra.

In una comunità già provata dall’asocialità dei suoi componenti, la minaccia di Katrina, ancora giovane, ancora un afflato di vento all’orizzonte, viene sottovalutata e archiviata come l’ennesima seccatura che va a impilarsi su una risma di altre noie quotidiane. A lei e alla sua furia distruttrice, infatti, saranno dedicati solo due dei dodici capitoli del romanzo. Ma il destino, evocato da Esch attraverso i continui rimandi al mito e all’idea di una femminilità distruttrice, è deciso ad avverarsi. Profetiche, allora, si rivelano le parole del padre:

«L’uragano… finalmente ha un nome. È una donna, sono i peggiori. Katrina».

La dicotomia uomo/natura, o uomo/donna, è così capovolta: a Bois Sauvage è la seconda a dominare sul primo, e non viceversa.

La natura che delizia con la luce del sole e gli alberi da frutto è insomma la stessa che tira per strappare le mani aggrappate l’un l’altre. E, paradossalmente, finisce suo malgrado per agire come una forza unificatrice: le braccia incrociate e i musi lunghi si rilassano e si tendono a intercettare chi affiora dall’acqua a supplicare un aiuto. L’isolamento selettivo di ciascuno finisce dove si richiede la cooperazione straordinaria di tutti. Perché ci si possa appuntare sul petto la mostrina dei sopravvissuti; perché si possa volgere lo sguardo a un cielo che, nero da giorni, finalmente si schiarisce. O per salvare le ossa, almeno quelle.


Per concludere

La tragedia moderna e ricca di simbolismi di Salvare le ossa è la rara nuvola di pioggia in un deserto editoriale di trame riciclate e personaggi preconfezionati. Vai così, Jesmyn, che la tua penna sia un modello da cui trarre lezioni di stile.

Aggiornamento: è stato tradotto il sequel (che non ho letto), dal titolo Canta, spirito, canta. Qui la scheda del libro su Goodreads.

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La lepisma libraia

Salvare le ossa

10

Sviluppo

10.0/10

Stile

10.0/10

Personaggi

10.0/10

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