Sempre mi riprometto di pubblicare le recensioni con un certo anticipo sulla data di pubblicazione del libro esaminato, e sempre faccio fiasco. La luce degli abissi di Frances Hardinge è uscito questa settimana in tutte le librerie, alla faccia di un certo anticipo.
Della Hardinge, l’anno scorso ho letto La voce delle ombre. Allora l’autrice mi aveva turbata con il romanzo surreale di una ragazza che si ritrova a condividere mente e corpo con l’anima di un orso. La luce degli abissi si presenta con una copertina fantasticamente sovraffollata, come già la era quella de La voce delle ombre, e ci trasporta nelle acque inquiete dell’arcipelago della Miriade, dimora di mitiche divinità.
Titolo: La luce degli abissi
Autore: Frances Hardinge
Genere: fantasy
Editore: Mondadori
Pagine: 456
Da sempre Hark e Jelt sanno che, appena sotto il mare, esiste l’Abissomare, l’antica dimora dei mostruosi dèi che a lungo terrorizzarono l’arcipelago della Miriade. Riti sacerdotali e sacrifici servirono per anni a placare l’ira delle divinità marine, fino al giorno del Cataclisma, quando in un’esplosione di follia si distrussero a vicenda. Le loro reliquie, che conservano un potere divino, sono molto ambite dai piccoli truffatori come Hark e Jelt, in fuga dalle leggi del governatore e dai contrabbandieri. Due amici inseparabili, almeno finché i fondali non restituiscono una reliquia diversa da tutte le altre: un globo pulsante, intriso di un potere straordinario e oscuro, che potrebbe distruggere non soltanto l’amicizia di Hark e Jelt, ma tutto il loro mondo.
La luce degli abissi: la recensione
Nell’arcipelago della Miriade, i baciati dal mare sono rispettati da tutti. Un barotrauma invalidante dopo un tuffo in acqua non è motivo di emarginazione ma di rispetto, perché la sordità che colpisce i marinai simboleggia coraggio e spirito di sopravvivenza nelle circostanze più avverse. Chi si immerge nelle acque dell’Abissomare rischia di non affiorarvi più: meglio allora tornare a galla in un mondo muto che sprofondare per sempre in un baratro di oscurità.
Nonostante i pericoli in agguato nelle sue acque, sono tanti gli isolani che scalpitano per immergersi nell’Abissomare e trafugarlo dei tesori che conserva. C’è chi svolge il mestiere con il permesso e la benedizione del governatore, perché una pesca abbondante si traduce in un florido commercio con il continente, e c’è chi, invece, come Hark e Jelt, va a caccia di tesori tuffandosi nascosto da un’insenatura dello strapiombo.
Le reliquie degli dèi sono lì, a portata di un sottomarino e di un equipaggio sufficientemente temerario per manovrarlo. I resti degli dèi che furono non aspettano altro che qualcuno li recuperi dal secondo fondale dell’oceano.
Scampoli di divinità sul fondo del mare
Gli dèi non sono sempre stati brandelli di arti, pinne e tentacoli sparpagliati per l’oceano. Fino a pochi decenni fa erano reali, erano mostruosi, erano cavità insaziabili che trascinavano intere navi giù negli abissi delle loro gole. Ognuno dominava sul proprio territorio senza mai sconfinare nella fetta d’oceano dell’altro.
Poi è sopraggiunta la catastrofe: gli dèi si sono riconosciuti rivali, si sono avventati l’uno contro l’altro, hanno agitato le onde e strappato carne coi denti in una lotta titanica dove nessuno è uscito vincitore. Ora, tutto ciò che rimane di loro viene ripescato dal fondo dell’Abissomare per essere usato come moneta nell’economia di sussistenza dell’arcipelago.
I giovani conoscono gli dèi solo in forma di storia del focolare, ma i vecchi ricordano. Il terrore che questi mostri incutevano sulla popolazione isolana sbiadiva in confronto alla loro maestosità. Quale maggior onore di essere scelti come tributi umani? Fra questi frammenti di gusci e denti scheggiati, i vecchi ritornano con la mente a un passato glorioso, velato di lacrime e nostalgia. Hark, invece, tirato su a miti e sventole, intravede un impulso sopito che attende con pazienza il proprio risveglio.
Meglio soli che mal accompagnati
Hark è un oratore provetto. Cresciuto prima del tempo per la sua condizione di orfano, a quattordici anni ha già maturato una lingua sciolta da vendere sabbia ai tuareg. Se anche però la favella lo ha salvato da più di una situazione spinosa, non sempre riesce a trarlo d’impaccio, specialmente quando a tendergli l’agguato è Jelt, il suo sedicente migliore amico.
Hark deve la vita a Jelt. Jelt, anche lui orfano, lo ha accolto come un fratello minore e lo ha educato alla vita di strada. Ora Hark deve pagare pegno. Adesso è Jelt che ha bisogno di Hark per un lavoretto facile facile, dove il rischio di morire sfracellati sugli scogli o annegati in mare è tanto vicino quanto un piede che perde la presa o una falla nella paratia di una sfera per immersioni. Jelt gioca la carta del “mi devi la vita” e procede a manipolare il fedele Hark come una figura di plastilina.
Hark, nato all’ombra di Jelt e più che volenteroso, in nome di un legame affettivo unilaterale e di un sentimento debitorio sbagliato, nell’accettare richieste via via sempre più impegnative, se non assurde, riuscirà a riconoscere l’amico per la persona manipolativa quale è e a mettere le distanze da una relazione tossica prima che quest’ultima lo divori per sempre.
Personaggio che si odia, caratterizzazione che si ama
Jelt mi infonde lo stesso sentimento positivo che mi trasmette re Jeoffrey: ad averlo davanti, lo prenderei a pugni.
Mi ha fatto storcere la bocca fin dalla sua prima apparizione. Jelt è una di quelle personalità malsane che, datoti un dito, pretendono poi da te braccio, spalla e perpetua accondiscendenza. Maschera gli obblighi da inviti, ti esorta con finte lusinghe, ti promette le stelle e poi, quando finisci invischiato nelle sabbie mobili che lui stesso ha piazzato sul tuo cammino, ti allunga il bastone per rifilarti una botta sulla testa.
Ho apprezzato davvero tanto, invece, l’evoluzione caratteriale di Hark. In fin troppi romanzi il protagonista si inserisce come persona già equilibrata o comunque senza particolari attributi caratteriali (il cosiddetto personaggio piatto), ma La luce degli abissi offre l’esempio di arco narrativo che ogni protagonista dovrebbe percorrere.
Cambiare non è facile: nel corso della storia Hark compirà scelte discutibili, inventerà giustificazioni e si logorerà dal senso di colpa. Jelt verserà sale sulla ferita ogni volta che ne avrà l’occasione. Alla fine, però, Hark raccoglierà il coraggio necessario a recidere il ramo malato dal suo albero di amicizie.
La luce degli abissi insegna che i veri mostri hanno pelle, denti, ossa e 46 cromosomi.
Worldbuilding ai massimi livelli
Io non so nuotare. Ci ho provato a più riprese, ma il solo pensare di tuffarmi in un metro e mezzo d’acqua mi fa sudare i palmi e annodare lo stomaco. Odio non poter valutare la distanza tra superficie e fondo e odio allungare il piede per scoprire di non toccar terreno. Alle lezioni di nuoto, da bambina, per gli istruttori era un traguardo quando scollavo le mani dal bordo vasca.
Questa postilla serve a spiegare il respiro corto che ho mantenuto per buona parte del tempo trascorso a leggere il libro.
Il mondo de La voce degli abissi non potrebbe essere meglio delineato. È fantasy allo stato puro. C’è un continente lontano che viene solo menzionato a beneficio di una narrazione che si concentra sul microcosmo dell’arcipelago. Ove La caduta dei re di Jenn Lyons tenta di stupire con una worldbuilding di più ampio respiro e dalle mille e complicate sfaccettature fini solo a se stesse, l’ambientazione de La luce degli abissi è precisa, pulita e funzionale alla storia di cui fa da cornice.
Ai baciati dal mare va il riguardo di chi passa la vita sulla terraferma, e quale maggiore testimonianza di ammirazione se non la creazione di un linguaggio dei segni ad hoc per continuare a comunicare con loro?
Che dire poi dello sviluppo tecnologico degli abitanti delle isole? La loro economia sfrutta le risorse del mare, quindi è naturale che l’inventiva umana sia tesa ad aggiornare modelli di sottomarini e ideare metodi di navigazione subacquea sempre più sicuri.
Questo straparlare di oceani, arcipelaghi e favolose divinità può forse rievocare le acque trasparenti e il cielo azzurro del film Disney Vaiana, ma l’Abissomare è un territorio ostile che si nutre del terrore dei naviganti. È lo scenario perfetto per scatenare la nostra immaginazione. Viene automatico popolarlo di esseri raccapriccianti, rappresentazioni delle nostre peggiori paure. Le vestigia stesse degli dèi irradiano una misteriosa energia che si rivelerà tutt’altro che positiva.
Una storia per non cedere all’orrore
Ogni dio ha un rappresentante che ne diffonde il verbo. Quando non restano più divinità da adorare, ai sacerdoti degli dèi del mare tocca andare in pensione. Per espiare un piccolo reato, Hark si ritroverà suo malgrado a dover fare da balia a questi anziani portavoce.
Sarà qui, fra le mura di questa anticamera della morte, che i sacerdoti spalancheranno gli occhi di Hark sulla vera natura degli dèi. Hark capirà quanta influenza possa avere una storia sulla psiche delle persone: lui che finora ha sfruttato la buona favella per rabbonire una persona alla volta, capirà che una parola ancor meglio piazzata può arrivare a rassicurarne mille.
Sarà sempre qui che Hark capirà di dover salvare l’arcipelago dall’avidità umana e da un destino di morte certa.
Prima parte lenta, poi migliora di colpo
Se devo proprio muovere un’accusa, posso dire che la prima parte de La luce degli abissi è tremendamente lenta, così lenta che ero lì lì per etichettarlo come DNF.
Dopo che Hark si ritrova proprietà della dottoressa Vyne e viene condotto al santuario a prendersi cura dei sacerdoti in pensione (a estorcergli storie dei vecchi dèi, soprattutto), sembra che la Hardinge sia più interessata a definire i suoi personaggi che a far progredire la storia, perché l’azione si attarda e si farà aspettare per svariati capitoli a venire.
Quando però l’azione finalmente arriva, smettere di leggere è un’ardua impresa. L’abbrivo lento e forse deliberato permette di affezionarsi ai personaggi e di crearsi le coordinate del mondo dell’arcipelago.
Per concludere
Sottomarini steampunk, gargantueschi crostacei, covi da bucanieri e dilemmi etici. Cosa volere di più?
La lepisma libraia