[Recensione] “Salvare le ossa” di Jesmyn Ward

Copertina di Salvare le ossa.

Nel 2012 usciva Re della terra selvaggia. Reclamizzato come film fantasy sui palinsesti cinematografici italiani, è stato trattenuto fuori dal cono di luce dei riflettori. Ha dunque fatto una comparsata sulle reti televisive, qualche anno più tardi, riscuotendo un modesto indice di ascolto. Se rientrate nella percentuale che finora se lo è fatto scappare, l’ovvio consiglio è di colmare la lacuna. In caso contrario, lascio a voi il piacere di scovare le differenze e i parallelismi con Salvare le ossa di Jesmyn Ward.

Titolo: Salvare le ossa. Trilogia di Bois Sauvage. Vol. 1
Autore: Jesmyn Ward
Traduttore: Monica Pareschi
Genere: drammatico/young adult
Editore: NN Editore
Pagine: 316

Un uragano minaccia la città di Bois Sauvage, Mississippi. Esch ha quattordici anni ed è incinta; suo fratello Skeetah ruba avanzi di cibo per i cuccioli di pitbull che stanno morendo nella polvere, mentre Randall e Junior cercano di farsi valere in una famiglia che sembra non conoscere la solidarietà. Nei dodici giorni che precedono l’arrivo devastante dell’uragano Katrina, i quattro fratelli orfani di madre si sacrificano l’uno per l’altro come possono. Uno sguardo potente e straziante sulla povertà rurale, Salvare le ossa è un romanzo rivelatore e reale, innervato di poesia.


Salvare le ossa: la recensione

Salvare le ossa, libro primo della trilogia di Bois Sauvage, è un ritratto sulla violenza dipinto a tonalità d’amore.

La prima pennellata di Jesmyn Ward è bianca come il pelo porcellana di China, una femmina di pitbull in procinto di partorire sul pavimento sporco di una baracca. Sotto allo sguardo attento del suo padrone, il sedicenne Skeetah, e a quello del punto di vista narrante Esch, China sforna una cucciolata di futuri guerrieri. Il suo amore verso i piccoli sarà quello inaridito e incostante di chi ha disimparato l’istintivo affetto materno sostituendolo con l’impulso omicida dei cani da combattimento.

L’amore tra Skeetah e China, invece, fluisce costante, puro e spiritualmente illimitato. Skeetah sta al suo cane come Laira Belacqua sta al suo daimon: due anime distinte ma interdipendenti, testa e coda della stessa moneta. Impegnati a disconoscere il resto del mondo al di là del perimetro dei reciproci abbracci, non sanno di essere oggetto di malinconica invidia.

Alla sorella Esch, che ama, e al coetaneo Manny che non corrisponde, si sovrappone infatti la tragedia greca di Medea e degli Argonauti. Vestendo i panni sporchi di un moderno Giasone, Manny volta le spalle e declina qualsiasi paternità verso il figlio che Esch scopre di portare dietro agli spigoli smussati di un corpo dalla femminilità acerba. Esch è stata costretta a crescere come un virgulto solitario, esile ma corazzato di spine, in un mondo degradato che sembra tagliato apposta per l’irruenza maschile. Orfana di madre, il cui amore incorporeo è una presenza costante che aleggia nella sua mente in forma di buoni consigli e nostalgici ricordi d’infanzia, Esch dovrà scendere a patti con la nuova rotondità del suo ventre. Per questo identificherà in China, anche lei madre inesperta, una guida da cui imparare il significato di maternità.


Le altre tonalità d’amore

Randall, coi suoi diciassette anni, è il maggiore dei fratelli. In uno scenario in cui i più scialacquano i loro giorni in una mera lotta per la sopravvivenza, lui palleggia per il campo da basket e punta in alto, nel gioco come nella vita vera: ogni lancio che attraversa il canestro segna un passo in più verso il college e la fondamentale borsa di studio per frequentarlo. Figlio non modello, ma l’unico addomesticabile e vagamente addomesticato in un branco di belve con le orecchie retratte.

Amore infantile e a tratti asfissiante è quello che Junior, sette anni appena, nutre per i suoi fratelli più grandi. Se non è andato a infilarsi nei cunicoli fangosi sotto alle fondamenta di casa, si può star certi di trovarlo nel raggio d’azione delle braccia di Randall. D’altronde è lui la sua figura di riferimento, il faro all’orizzonte del mare aperto, il destinatario di imprinting. Il surrogato dell’amore paterno di cui lui non ha mai beneficiato e di cui i suoi fratelli sono stati privati. L’amore di madre ha raggiunto il picco alla sua nascita per poi spegnersi nel sacrificio per eccellenza: la donna che baratta la propria vita per quella del figlio.

Perfino dopo queste premesse, Ward è ben lungi dall’aver esaurito gli spazi vuoti sulla tela. E sulla tavolozza rimane ancora una varietà d’amore da miscelare, l’ultima: l’amore di un padre che affoga la vedovanza nell’oblio della birra. Il suo cuore, come quello indurito di China, è mal funzionante. Atrofizzato dal dolore e dalla solitudine della perdita, difetta di energie per interessarsi davvero dei figli, eppure non ha perso il suo sesto senso.

Come la leonessa che fiuta il bracconiere ancora prima di vederne il fucile, il padre di Esch annusa per primo il pericolo nell’aria del Mississippi. Sprangate le finestre, ordina, fate incetta di acqua potabile e di carne in scatola. Consapevole di incorrere nel rischio di guadagnarsi l’appellativo di svitato di Bois Sauvage, attirerà a sé tutta la famiglia, o tenterà di farlo, in una disperata missione di rinforzo strutturale della casa. Perché?, chiedono i figli alzando il sopracciglio. Perché è in arrivo un uragano. Un’alzata di spalle, giovani occhi che ruotano spazientiti nelle orbite. Ne abbiamo avuti tanti, che vuoi che sia?

Di lì a un grappolo di giorni, quell’uragano sarà battezzato Katrina. E siamo a Bois Sauvage, in Mississippi, dove le calamità naturali non si consumano dietro lo schermo del televisore a migliaia di chilometri di distanza, ma infuriano appena al di là del vetro traballante di una finestra…


La distruzione ha nome di donna

China è l’incubo dei cani da arena. Sfila fra di loro con la corona in testa, al pari di Madre Natura che, con un ritmo fortuito e senza favoritismi, con un colpo di scettro ricorda a tutti chi comanda davvero. In quanto a Esch… dirò solo che avrà la sua occasione per sfoderare le unghie e non mancherà di sfruttarla a dovere. Nella comunità maschiocentrica di Bois Sauvage, insomma, la femminilità è distruzione.

Non a caso, Esch si serve di China e della mitica Medea, figure femminili passionali, violente e vendicative, come chiavi di interpretazione della squallida realtà che la circonda. Le ammira e al tempo stesso le teme, perché pensa inconsciamente di condividerne il destino. Come Hushpuppy, Esch interiorizza il mondo esterno in forma di immagini e simbolismi e si sente parte integrante di un universo che pulsa, vive e respira dal più infimo sasso al più maestoso elefante. C’è dunque un senso di predestinazione che vela la realtà come restituita dai suoi occhi di adolescente.

Ogni metafora che Ward verga sulla pagina è unidirezionale, tesa a profetizzare l’arrivo dell’entità distruttrice per antonomasia: l’aria è densa, stagnante e impregnata d’acqua, tanto che alla protagonista quanto al lettore pare quasi di respirare attraverso una garza. Il ritmo della vita nella Fossa, dove sorge la casa della famiglia di Esch, viene scandito, più che dal ticchettio degli orologi, da gocce di sudore che cadono a punteggiare la terra rossa sotto ai piedi. Delle comodità della vita dell’entroterra, poi, a Bois Sauvage non riesce a spingersi nemmeno l’eco, figurarsi uno smartphone con tutti i circuiti intatti. Non si chiama estate quella che non viene sconquassata da almeno un paio di tempeste tropicali. Flora e fauna devono imparare ad adattarsi e risollevarsi, pena l’estinzione, perché non c’è cementificazione che tenga alle forze primordiali della Terra.

In una comunità già provata dall’asocialità dei suoi componenti, la minaccia di Katrina, ancora giovane, ancora un afflato di vento all’orizzonte, viene sottovalutata e archiviata come l’ennesima seccatura che va a impilarsi su una risma di altre noie quotidiane. A lei e alla sua furia distruttrice, infatti, saranno dedicati solo due dei dodici capitoli del romanzo. Ma il destino, evocato da Esch attraverso i continui rimandi al mito e all’idea di una femminilità distruttrice, è deciso ad avverarsi. Profetiche, allora, si rivelano le parole del padre:

«L’uragano… finalmente ha un nome. È una donna, sono i peggiori. Katrina».

La dicotomia uomo/natura, o uomo/donna, è così capovolta: a Bois Sauvage è la seconda a dominare sul primo, e non viceversa.

La natura che delizia con la luce del sole e gli alberi da frutto è insomma la stessa che tira per strappare le mani aggrappate l’un l’altre. E, paradossalmente, finisce suo malgrado per agire come una forza unificatrice: le braccia incrociate e i musi lunghi si rilassano e si tendono a intercettare chi affiora dall’acqua a supplicare un aiuto. L’isolamento selettivo di ciascuno finisce dove si richiede la cooperazione straordinaria di tutti. Perché ci si possa appuntare sul petto la mostrina dei sopravvissuti; perché si possa volgere lo sguardo a un cielo che, nero da giorni, finalmente si schiarisce. O per salvare le ossa, almeno quelle.


Per concludere

La tragedia moderna e ricca di simbolismi di Salvare le ossa è la rara nuvola di pioggia in un deserto editoriale di trame riciclate e personaggi preconfezionati. Vai così, Jesmyn, che la tua penna sia un modello da cui trarre lezioni di stile.

Aggiornamento: è stato tradotto il sequel (che non ho letto), dal titolo Canta, spirito, canta. Qui la scheda del libro su Goodreads.

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La lepisma libraia

[Recensione] “The Outsider” di Stephen King

Copertina di The Outsider.

Buon inverno imminente, cari lettori. The Outsider (“l’estraneo”) di Stephen King, uscito nelle nostre librerie da qualche settimana, è proprio il romanzo da leggersi quando le giornate si accorciano e al di là del camino comincia a soffiare il vento tagliente tipico della stagione invernale o dell’autunno inoltrato. D’altronde, King è il maestro dell’orrore e l’atmosfera nuvolosa e fredda di questo ultimo stralcio di novembre contribuisce ulteriormente a intorpidire le ossa (ma ai geloni da bora preferirò sempre e comunque i brividi di un buon romanzo).

Mi accorgo di giungere un po’ in ritardo, perché ne è passata di acqua sotto i ponti dalla mia ultima recensione: The Outsider è stata una lettura lunga, più sofferta del necessario. Quanto necessario lo quantificheremo nella recensione vera e propria alla fine dello specchietto riassuntivo.

Titolo: The Outsider
Autore: Stephen King
Genere: giallo/horror
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 530

La sera del 10 luglio, davanti al poliziotto che lo interroga, il signor Ritz è visibilmente scosso. Poche ore prima, nel piccolo parco della sua città, Flint City, mentre portava a spasso il cane, si è imbattuto nel cadavere martoriato di un bambino. Un bambino di undici anni. A Flint City ci si conosce tutti e certe cose sono semplicemente impensabili. Così la testimonianza del signor Ritz è solo la prima di molte, che la polizia raccoglie in pochissimo tempo, perché non si può lasciare libero il mostro che ha commesso un delitto tanto orribile. E le indagini scivolano rapidamente verso un uomo e uno solo: Terry Maitland. Testimoni oculari, impronte digitali, gruppo sanguigno, persino il DNA puntano su Terry, il più insospettabile dei cittadini, il gentile professore di inglese, allenatore di baseball dei pulcini, marito e padre esemplare. Ma proprio per questo il detective Ralph Anderson decide di sottoporlo alla gogna pubblica. Il suo arresto spettacolare, allo stadio durante la partita e davanti a tutti, fa notizia e il caso sembra risolto. Solo che Terry Maitland, il 10 luglio, non era in città. E il suo alibi è inoppugnabile: testimoni oculari, impronte, tutto dimostra che il brav’uomo non può essere l’assassino. Per stabilire quale versione della storia sia quella vera non può bastare la ragione. Perché il male ha molte facce.


The Outsider: la recensione

I “grandi” non sono sempre una garanzia di perfezione. Me lo ha suggerito La scatola dei bottoni di Gwendy, a inizio anno, e me lo ha ora confermato The Outsider. Sembra quasi che il Re sia stanco della corona, che voglia lasciare il soprannome in eredità a una nuova generazione di aspiranti sovrani dell’horror, al contrario di una famosa, rugosa e coriacea vecchina al di là della Manica che il trono se lo è saldato alla schiena con le sue radici di quercia. Forse, anche regnare stanca.

La cosa certa è che King non ha più l’ispirazione di un tempo e dove prima non aveva problemi a piazzare i punti di conclusione dove andavano piazzati, ora tende a perdersi nelle sue stesse opere, come un escursionista d’alta montagna che si avventurasse fra i boschi senza una cartina con cui rintracciare il sentiero verso valle. Un vagabondo senza meta, quasi. Ma andiamo con ordine.


A Terry Maitland non è dato il dono dell’ubiquità… o sì?

Terry Maitland lo hanno visto. Lo hanno visto il vicino della porta accanto, il dirimpettaio, la formica fra gli steli del prato. Ci sono testimoni oculari di un ampio spettro d’età che, mano sulla Bibbia e sugli occhi, son pronti a sostenere davanti a una giuria di averlo riconosciuto quella sera. Chi al parchetto chi alla stazione, addirittura c’è chi l’ha notato insieme alla vittima prescelta prima che quest’ultima venisse immolata nel più disumano e disgustoso dei delitti.

Insieme ai resoconti dei testimoni, le prove forensi e incontrovertibili del DNA piantano un altro chiodo nella bara del presunto omicida. Estirparlo significa violare le leggi stesse della fisica: come potrebbe una persona trovarsi contemporaneamente in due luoghi diversi? La meccanica quantistica di Schrödinger non si concilia con la biologia del corpo umano.

Eppure, l’imputato alza gli scudi e si difende con una versione dei fatti che prende le autorità giudiziarie in contropiede. No, quella sera lui non era in città. E sì, ci sono testimoni che lo possono assicurare. Soprattutto, ci sono prove altrettanto tangibili e inequivocabili che convalidano le sue dichiarazioni, per quanto assurde possano suonare.

Insomma, Maitland ha un alibi d’acciaio. E le gambe di Ralph Anderson, il detective che ha condotto le indagini e che del rispettabile Maitland ha ordinato, in spregio ai protocolli, l’arresto in pubblica piazza davanti a una folla di sbigottiti spettatori, cominciano a tremare come gelatina. The Outsider è anche la sua storia: quella di un uomo che, sicuro del suo istinto e con un pizzico di umana rabbia, si avventa, con un colpo basso, sull’avversario girato di spalle. Quella di un uomo di raziocinio che deve scendere a patti con ciò che con logica non ha spiegazione.


La prima metà del romanzo

Le prime 250 pagine di The Outsider vedono il detective da una parte e l’imputato dall’altra, ciascuno con la propria verità in tasca e una squadra di assistenti a consigliare la prossima mossa. Avvocati e investigatori in gara a chi ha l’ultima prova empirica per difendere il cliente o infliggere il colpo che condannerà l’assassino Terry Maitland all’iniezione letale.

Mentre Maitland nega il suo coinvolgimento nell’uccisione del ragazzo, Anderson cerca una prova definitiva per schiacciarlo. Entrambi hanno qualcosa da perdere: lui la vita, l’altro la carriera. Dato il maggior peso della prima, è assicurato che Maitland, reo o innocente che sia, ce la metterà tutta per segnare un punto a suo favore.

Ma come si dice? Fra i due litiganti…


L’outsider gode

Non c’è King senza il soprannaturale, e qui, paradossalmente, comincia il terreno sconnesso.

La prima metà di The Outsider è quasi un romanzo a sé. Un legal-thriller incompiuto, lo si potrebbe chiamare, e popolato dalle figure ricorrenti di questo filone: i componenti della scientifica, gli avvocati difensori, i detective. E ancora: gli esami del DNA, i ritrovamenti, le perlustrazioni…

Poi c’è l’outsider, che si nutre di paura (tema, questo, già preso in prestito negli scritti di King, vedasi It) e che sghignazza nell’oscurità dove solo le creature della sua risma trovano conforto e tranquillità. L’outsider è lo spettatore passivo che si ingozza di popcorn davanti al maxischermo di un IMAX. È l’esibizionista che se vede due randagi azzuffarsi per strada, invece di separarli li aizza ed estrae lo smartphone per filmarli. L’outsider è un ladro di volti, di memorie, di innocenti.

È un estraneo che rimane nell’ombra del retroscena, che preferisce la manipolazione all’azione. Così instilla la paura: se non lo riconosci, se davvero può essere chiunque… non puoi fidarti neanche del tuo riflesso allo specchio.

Il lettore mette il broncio

Tutto è bene, in The Outsider, finché si rimane confinati nel mondo razionale. Fino a quando al lettore è dato congetturare su come sia possibile trovarsi qua e là simultaneamente, su chi abbia ragione, cioè fino alla metà del libro. Finché, insomma, al lettore viene data in pasto la promessa di una soluzione originale e soddisfacente.

Dopo un tale crescendo di aspettative da perfetto legal-thriller, affidarsi a un “daemon ex machina” è tutt’altro che una soluzione originale e soddisfacente. È la via più diretta per scontentare il lettore, come sono per lo studente gli appunti da baro a carattere 3 infilati nella scocca della calcolatrice. Quando sai che avresti potuto impegnarti davvero, il dieci e lode lo incassi con un sorriso sulle labbra e un sapore di bile in bocca. Quando ti accorgi che King non si sfrutta al massimo e si accontenta della conclusione più ovvia, quella cioè del soprannaturale, succede esattamente lo stesso.

Come ne La scatola dei bottoni di Gwendy, menzionato all’inizio della recensione, dunque, The Outsider finisce dritto nel baratro delle idee brillanti ma mal riuscite. Il finale è ancora una volta sbrigativo e non ripaga il numero di pagine macinate per raggiungerlo (qui più di 500, non proprio una bazzecola). I personaggi, almeno loro, risultano ben sviluppati. Le loro fobie, manie, gioie segrete e gelosie sono molto realistiche. Anche l’elemento horror è presente, ma solo dalla seconda metà in avanti. La prima parte, si sarà capito, è più asettica dell’ala di un ospedale, ma è quella che funziona.

La figura appena accennata dell’outsider, parente di lunga data con l’El Cuco spagnolo, meriterebbe di essere approfondita e collocata in un altro scenario. Non merita di essere ingabbiata in questa storia, non con le premesse di un thriller fondato sulla scienza e sulla deduzione logica.


Per concludere

Cinquecento pagine per sviluppare e cinque per concludere. King si lascia, ancora una volta, tentare dalla convenienza di un finale banale e frettoloso. È un romanzo dalla doppia faccia: la prima metà non ha i muscoli in sincrono con la seconda.

Oh, e state attenti, voi che non conoscete Mr. Mercedes. Hic sunt spoilers.

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Mezza stellina.

La lepisma libraia

[Recensione] “Stretto” di Nicola Skert

Copertina di Stretto.

Preambolo necessario: ringrazio di cuore Nicola Skert per avermi inviato una copia digitale di Stretto in cambio di una recensione onesta. Chi volesse fare richiesta di recensione può consultare questa pagina (salvarsela nei segnalibri, più che altro, perché le recensioni degli esordienti sono momentaneamente sospese causa leggi universali che impongono alle mie giornate un monte di ventiquattro ore non espandibile).

E poi vorrei ringraziare l’autore per un’altra ragione: per avermi trasmesso un brutto caso di dislocazione della mandibola insieme a una crisi di crampi al diaframma. Mentre lo specialista scribacchia la parcella che solo lui sa decifrare e che spedirò al diretto interessato per risarcimento dei danni fisici, torniamo alle Cose Serie (se ci siamo mai stati): la recensione di Stretto. Ordunque, vediamo che meraviglie si celano oltre la soglia di questo aggettivo maschile singolare.

Titolo: Stretto
Autore: Nicola Skert
Genere: humor
Editore: autopubblicato Amazon
Pagine: 196

Un feto di nome Bert prende incredibilmente coscienza di sé. Appena in tempo, perché presto intuisce che il mondo là fuori non sta girando per il verso giusto. Litigi e tensioni scagliano il papà lontano da casa e la madre reagisce maltrattando sé e la creatura che porta in grembo. Bert fugge dall’utero e finisce casualmente in una scarpa del padre dalla quale nessuno riesce più a estrarlo. E’ l’inizio surreale di una vita stravagante, dettata dall’imprinting intrauterino di fuga da tutto ciò che sente “stretto”. Finché un evento apparentemente banale lo metterà di fronte a un destino davvero imprevisto. Una divertita riflessione sul mito della fuga. E del diventare adulti.


Stretto: la recensione

Definire Stretto un libro che narra di qualcosa è una descrizione riduttiva. È un romanzo di formazione, una risata che tira l’altra, una sottile occasione di denuncia. E Bert, il nostro protagonista, è uno sciame sismico di bambino in cerca di una zolla di mondo sopra la quale assestarsi.

I sismografi di Bert si eccitano fin dalle calde, umide rotondità del ventre materno: l’aspirante neonato, che il “termine” di gestazione lo intravede ancora e solo come un cerchio abbagliante in fondo al tunnel, decide che ne ha abbastanza. Vuole accelerare i tempi, lui, perché le morbide pareti del sacco amniotico cominciano a premergli sui gomiti e sul testino. Ci sta stretto, ecco.


Bert è tutti noi

Al culmine di un parto casereccio che sfida tutte le leggi approvate dell’anatomia umana, senza per questo perdere in godibilità, anzi, Bert ha giusto il tempo di collaudare il suo paio di polmoni nuovo fiammante prima di catapultarsi dentro a una delle scarpe di papà, e lì crescere come un Loto d’oro in passiva attesa finché dalle pieghe di un camice bianco sorride lo scintillio di un paio di forbici. Allora le strumentazioni vanno in tilt, il sismogramma sfora dal tracciato e Bert, in piena magnitudo di nove virgola ventordici, si libera ancora una volta di ciò che gli va stretto.

Ma questo è solo il primo round delle sue (dis)avventure. Il bambino prematuro si farà un ometto prima, un giovane esemplare di adulto poi. Nella sua continua ricerca di uno spazio aperto, di una dimensione di realtà che non lo opprima di mente e di corpo, di una soluzione al laccio emostatico che gli stritola la vita, Bert evaderà perfino dai confini del continente. A lui e alla sua indole da latitante, volenti o nolenti, ci si affeziona presto, e al ritmo del suo respiro viene anche naturale sincronizzarsi. Il suo viaggio iniziatico è anche un po’ il nostro.

D’altronde, è l’archetipo dell’imperfetto essere umano: non siamo tutti in cerca di un atollo personale nel mare ribollente del mondo?


Un assurdo che denuncia

Come quello del miglior Benni, l’umorismo di Stretto si avvale dell’assurdo per indurre al buonumore e nel frattempo smuovere la coscienza.

Non è l’assurdo scomodo e fine a se stesso di chi si sforza fino al prolasso rettale di far ridere con farneticazioni di aria fritta, ma l’ironia intelligente, acuta e squisitamente essenziale delle migliori caricature, quella dello scrittore che ha occhi per inquadrare da lontano un angolo di realtà, lo cattura in un rettangolo di dita e ne deforma e ne esagera i tratti perché tutti i lettori possano viaggiare oltre le pagine di cellulosa e toccare i personaggi con mano, percepirne le emozioni e gli umani difetti. La più efficace denuncia sociale è quella che in superficie non nasce come tale. Quella, insomma, che non si prende sul serio.

L’assurdo di Stretto è un ossimoro. È più realistico della stessa realtà e per questo mi levo il cappello.


Per concludere

Spensierato ma serio, assurdo ma intelligente, originale fin dall’artwork di copertina. Ce ne fossero, di scrittori così attenti. Mission impossible per un possibile sequel: la fuga di Bert dal Sistema Solare.

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La lepisma libraia

Le novità editoriali di ottobre 2018

Novità editoriali.

Quest’estate si sta aggrappando al 2018 come Linus alla sua coperta, ma il freddo – il clima del lettore a cui piace insediarsi in un bozzolo di calda lana e scaldarsi le dita attorno a una tazza di tè – è alle porte e scalcia per entrare. Per fare incetta di vitamine in vista del vero freddo, la lepisma ha selezionato per voi le portate più succose del menù di questo ottobre.

The Outsider.The outsider – Stephen King

Titolo: The outsider
Autore: Matt Haig
Casa editrice: Sperling & Kupfer
Pagine: 360

In libreria dal 23 ottobre 2018

La sera del 10 luglio, davanti al poliziotto che lo interroga, il signor Ritz è visibilmente scosso. Poche ore prima, nel piccolo parco della sua città, Flint City, mentre portava a spasso il cane, si è imbattuto nel cadavere martoriato di un bambino. Un bambino di undici anni. A Flint City ci si conosce tutti e certe cose sono semplicemente impensabili. Così la testimonianza del signor Ritz è solo la prima di molte, che la polizia raccoglie in pochissimo tempo, perché non si può lasciare libero il mostro che ha commesso un delitto tanto orribile. E le indagini scivolano rapidamente verso un uomo e uno solo: Terry Maitland. Testimoni oculari, impronte digitali, gruppo sanguigno, persino il DNA puntano su Terry, il più insospettabile dei cittadini, il gentile professore di inglese, allenatore di baseball dei pulcini, marito e padre esemplare. Ma proprio per questo il detective Ralph Anderson decide di sottoporlo alla gogna pubblica. Il suo arresto spettacolare, allo stadio durante la partita e davanti a tutti, fa notizia e il caso sembra risolto. Solo che Terry Maitland, il 10 luglio, non era in città. E il suo alibi è inoppugnabile: testimoni oculari, impronte, tutto dimostra che il brav’uomo non può essere l’assassino. Per stabilire quale versione della storia sia quella vera non può bastare la ragione. Perché il male ha molte facce. E King le conosce tutte.


La caduta di Gondolin.La caduta di Gondolin – John R. R. Tolkien

Titolo: La caduta di Gondolin
Autore: John R. R. Tolkien
Casa editrice: Bompiani
Pagine: 352

In libreria dal 24 ottobre 2018

L’oscuro signore Morgoth sta cercando la città di Gondolin per poterla distruggere, ma Ulmo, dio del mare, vuole aiutare i Noldor, stirpe di elfi che la abita, a evitare il pericolo. Per questo decide di fargli pervenire un messaggio e il suo ambasciatore è Tuor, giovane fuorilegge che suo malgrado si trova a vestire i panni dell’eroe. Dopo un difficile viaggio, in cui incontra Ulmo stesso, Tuor giunge a Gondolin, ma il re Turgon non vuole ascoltare gli avvertimenti. La fine della città è segnata: Morgoth e il suo esercito di orchi, Balgor e draghi impone un potente assedio, da cui però Tuor riesce a fuggire insieme alla moglie Idril, figlia di Turgon, e al figlio Eärendil, da cui poi discenderà Elrond di Gran Burrone. Scritto durante la convalescenza dell’autore ferito nella battaglia della Somme, «La caduta di Gondolin» è il racconto di una misteriosa, splendida città distrutta da forze oscure che Tolkien stesso ha definito la prima vera storia della Terra di Mezzo.

Le ultime uscite sulla Terra di Mezzo di Tolkien sono per lo più lavori di rimaneggiamento e riordino di appunti del figlio Christopher, ma ben venga qualsiasi altro lascito letterario del professore di Oxford.


Miti del Nord.Miti del Nord – Neil Gaiman

Titolo: Miti del Nord
Autore: Neil Gaiman
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 225

In libreria dal 16 ottobre 2018

Odino il supremo, saggio, audace e astuto; Thor, suo figlio, incredibilmente forte ma non certo il più intelligente fra gli dèi; e Loki, figlio di un gigante, fratello di sangue di Odino, insuperabile e scaltrissimo manipolatore. Sono alcuni dei protagonisti che animano il nuovo libro di Neil Gaiman: noto per essersi ispirato spesso ai miti dell’antichità nel creare universi e personaggi fantastici, questa volta Gaiman ci offre una formidabile riscrittura dei grandi miti del Nord. Lungo un arco narrativo che inizia con la genesi dei nove leggendari mondi, ripercorriamo le avventure e le gesta di dèi, nani e giganti. Tra i racconti più avventurosi ci sono quello di Thor, che, per riprendersi il martello che gli è stato rubato, è costretto a travestirsi da donna, un’impresa non da poco considerando la sua barba e il suo sconfinato appetito; o quello di Kvasir – il più saggio fra gli dèi – il cui sangue viene trasformato in un idromele che colma di poesia chi lo assaggia. Il finale del libro invece è dedicato a Ragnarok, il giorno del giudizio, il crepuscolo degli dèi, ma anche la nascita di un nuovo tempo e nuovi popoli. Brillante e divertente, Miti del Nord è una magistrale carrellata del pantheon scandinavo e della bizzarra natura degli dèi: ferocemente competitivi, capricciosi, predisposti all’inganno e a farsi governare dalle passioni. Un universo antico, ricco e affascinante a cui la penna vibrante di Gaiman è in grado di infondere una vita nuova e decisamente attuale.

Ho un intero scaffale della libreria dedicato alla mitologia norrena. Immagino che anche quest’antologia di Gaiman debba andare, prima o poi, a ingrossare le sue fila, se ancora c’è posto… *sigh*


Come una favola.Come una favola – Danielle Steel

Titolo: Come una favola
Autore: Danielle Steel
Casa editrice: Sperling & Kupfer
Pagine: 360

In libreria dal 9 ottobre 2018

Camille ha avuto un’infanzia perfetta, circondata dall’amore e da ettari di vigneti nella bellissima Napa Valley, a nord di San Francisco, in California. Lì, tra dolci colline verdi e coltivazioni a perdita d’occhio, i suoi genitori, con dedizione e impegno, hanno dato vita a una rinomata azienda vinicola e una meravigliosa tenuta, ispirata all’antica proprietà di famiglia a Bordeaux. Ma quando, dopo la laurea, Camille torna a casa per aiutare a gestire Château Joy, come ha sempre sognato, la favola s’interrompe bruscamente. La madre viene a mancare e, solo sei mesi più tardi, il padre si lascia ammaliare da una misteriosa e affascinante contessa francese. La donna sembra incarnare l’essenza della raffinatezza parigina, nascondendo però qualche ombra. Camille, ancora in lutto, è scioccata dal fatto che suo padre non riesca a vedere oltre gli sguardi seducenti, i vestiti firmati e le maniere eleganti, e che sia già pronto a rifarsi una vita. Così, mentre il suo mondo crolla, Camille dovrà fare ricorso a tutta la sua forza per riuscire a salvare la memoria e l’eredità della sua famiglia. Fortunatamente per lei, però, potrà contare su una gentile quanto inaspettata alleata, e su un amico d’infanzia riapparso nella sua vita proprio come un principe delle fiabe. “Come una favola” è il nuovo romanzo di Danielle Steel. Una straordinaria storia che ci ricorda come a volte, anche nella vita reale, e non solo nelle favole, il bene vinca sul male.


Misteriosa. Le storie di Olga di carta.Misteriosa. Le storie di Olga di carta – Elisabetta Gnone

Titolo: Misteriosa. Le storie di Olga di carta
Autore: Elisabetta Gnone
Casa editrice: Salani
Pagine: 192

In libreria dal 29 ottobre 2018

Cosa significa diventare grandi? E come si fa? «Crescere è una faccenda complicata» direbbe il professor Debrìs, e Olga lo sa bene: per rassicurare una giovane amica, che di crescere non vuole sentire parlare, le racconta la storia di una bambina a cui i vestiti stavano sempre troppo grandi, anche se l’etichetta riportava la sua età, o la sua taglia, e che saltava nei disegni per fuggire dalla realtà. La storia di Misteriosa è la storia di chi fatica a trovare il proprio posto nel mondo, fugge da responsabilità e doveri, incapace di assumersene il carico, e combatte strenuamente per restare fanciullo. È anche, però, la storia di una bambina che non si arrende. Una storia che farà ridere, pensare e spalancare gli occhi per lo stupore; e che rassicurerà Olga, i suoi amici e i lettori di tutte le età su un punto, che è certo: per diventare splendidi adulti occorre restare un po’ bambini.

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[Recensione] “Le volpi del deserto” di Pierdomenico Baccalario

Copertina de Le volpi del deserto.

Pierdomenico Baccalario si è costruito la reputazione di autore di romanzi fantasy, qui in Italia come anche all’estero, ma all’inizio di quest’anno è tornato in libreria con un romanzo di pura narrativa dal titolo Le volpi del deserto. Niente elementi soprannaturali a questo giro, dunque, ma tanta, tanta Storia e natura incontaminata resa vivida da uno stile esperto. Che dite, sorvoliamo anche noi le dune del paesaggio corso insieme a Morice e alla sua famiglia?

Titolo: Le volpi del deserto
Autore: Pierdomenico Baccalario
Genere: ragazzi/narrativa
Editore: Mondadori
Pagine: 316

Due volpi e un segreto. Morice è il ragazzo destinato a svelarlo.

Si è molto scritto sui cercatori di tesori. Quasi mai su chi li nasconde. Credo che la cosa più difficile, per chi nasconde un tesoro, sia riuscire a nasconderlo a se stesso.

Morice a undici anni si è appena trasferito a Dautremere, un paesino sperduto della Corsica: mentre i suoi genitori gestiranno il decadente Hotel Napoléon, lui andrà in giro a registrare i suoni del mare. Almeno, questa è l’intenzione, finché un pomeriggio incontra Audrey, sua coetanea: è lei a rivelargli l’inquietante scomparsa di un marinaio tedesco che viveva lì. E questo non è l’unico mistero. Ben presto Morice e Audrey scoprono che su tutto il paesino aleggia un oscuro segreto che risale alla Seconda guerra mondiale. La stessa guerra in cui Rommel, il generale nazista detto “la Volpe del deserto”, e Saint-Exupéry, il celebre autore del Piccolo principe, potrebbero essersi alleati per stravolgere le sorti del conflitto, scatenando una caccia al tesoro che dura da quarant’anni e che porta proprio a quelle scogliere… Età di lettura: da 11 anni.


Le volpi del deserto: la recensione

Non fosse curvo su una scrivania a ticchettare piccoli capolavori a tastiera, con la retroilluminazione di un monitor a proiettargli sul viso un tenue bagliore bianco, Baccalario lo vedrei bene ad accogliere turisti con mazzi di chiavi d’ottone da dietro il bancone di una reception. Infatti, Le volpi del deserto prende in prestito, come ha già fatto in passato il primo episodio della serie fantasy Century dello stesso autore, l’atmosfera internazionale e misteriosa degli hotel popolandola di un cast di personaggi da Golden Globe.

Con una sola differenza: Morice e la sua famiglia, al contrario di Electra, l’allora eroina, della professione di albergatore ne sanno quanto un tarlo di astrofisica.


Quando la cordicella del mouse non era appendice del braccio

Siamo all’alba dell’estate del 1986 – l’anno in cui il Messico ospitò i Mondiali di calcio – quando i genitori di Morice decidono, del tutto arbitrariamente, di abbandonare la sicurezza del continente, identificato nella città di Marsiglia, per tuffarsi nel punto interrogativo di un paesino abbarbicato sulla costa della Corsica e lì gestire – o imparare a gestire – il fatiscente Hotel Napoléon.

In macchina, inerpicandosi fra le stradine del brullo scenario corso, viaggiano in cinque: mamma, papà, Morice, la sorellina Mirabelle e Jenska, la sorella maggiore nel pieno fuoco di una ribellione adolescenziale e che già scalpita alla prospettiva di trascorrere un’estate all’insegna della monotonia.

Morice, però, aspirante rumorista dal cui punto di vista si registra la storia, zigzaga con gli occhi al di là del finestrino e processa la novità con crescente ottimismo, perché la trasferta nella tranquilla Dautremere costituisce un’occasione ghiottissima per arricchire la sua banca dei suoni con altri rumori che siano quelli dei clacson insofferenti e dei motori che sfrecciano sull’asfalto.

E mentre si immagina di allungare un microfono verso una cicala frinente, si guarda di lato a sorridere verso il bambino riflesso che solo lui vede.


Uno spiedino di misteri

La prenotazione inaspettata di una coppia di turisti tedeschi, un funerale senza il morto, un padrone di casa impiccato, carcasse di conigli appese al cancello dell’hotel a mo’ di striscione di benvenuto. Più ci si addentra nel sottobosco de Le volpi del deserto e più cala il buio, in un crescendo di ombre che allontana il libro dagli scenari edulcorati del genere per ragazzi. In dirittura d’arrivo, infatti, la tensione è da romanzo thriller.

Perché i dautremeresi piangono su una bara vuota? Cosa stanno complottando i due turisti teutonici che quatti quatti e instancabili, come cani da tartufo dal formidabile senso dell’orientamento, setacciano ogni anfratto dell’hotel? Soprattutto, dov’è l’oro di cui tanto si parl(ott)a?

La caccia al tesoro che nasce come un innocente passatempo si spinge oltre la salsedine e il solleone di Dautremere ed evolve in una catena di misteri di scala internazionale, e a dare l’abbrivio alla fantasia di Baccalario è proprio la nostra Storia, con le sue guerre, i suoi soldati, i suoi strateghi in carne e ossa i cui nomi ritroviamo sui banchi di scuola.

Forti del loro spirito avventuroso e del tempo libero concesso dalla pausa estiva, Morice e Audrey si tuffano a braccia tese nella risoluzione dell’enigma, ma non sanno che, al traguardo, una fossa di serpenti attende il loro passo falso…


Per concludere

Una pagina tira l’altra, come la canonica ciliegia.

Stellina per recensioni.
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Le volpi del deserto: errata corrige

Questi sono, in ordine di apparizione, i refusi presenti nella versione Kindle de Le volpi del deserto come disponibile su Amazon a fine agosto 2018. In un futuro utopistico, un dipendente della Mondadori leggerà queste righe e deciderà di provvedere…

Scivolai fuori dalla lenzuola per sciacquarmi la faccia
Sentii Fabrice pasticciare nella mia testa e mandami una serie di idee
«Cosa gli è successo?» domandò Audrey. «Nessuno la sa. […]»
sotto le nuvole si sentiva un’assordante rumore di macchine meccaniche
Che fine aveva [fatto] Puschbach.
Oscar Tardì entrò senza aspettare risposta, come proba bilmente
La cicala nascosta tra i rami del gelso era assordante, come se stesse annunciando la fine del mondo[.]
affondato in mare basso durante un esercitazione con un U444

[Recensione] “L’uomo di Marte” di Andy Weir

Copertina de L'uomo di Marte.

Avete puntato il naso all’insù il 27 luglio scorso? Se sì, avrete forse notato un puntino luminoso poco sotto alla Luna di sangue. Non una stella, bensì un pianeta: Marte, per la precisione, il pianeta dove si svolge molta dell’azione de L’uomo di Marte di Andy Weir. Rispolveriamo il microscopio e sottoponiamolo a scrutinio sul vetrino, vi va?

Titolo: L’uomo di Marte
Autore: Andy Weir
Genere: fantascienza
Editore: Newton Compton
Pagine: 380

Mark Watney è stato uno dei primi astronauti a mettere piede su Marte. Ma il suo momento di gloria è durato troppo poco. Un’improvvisa tempesta lo ha quasi ucciso e i suoi compagni di spedizione, credendolo morto, sono fuggiti e hanno fatto ritorno sulla terra. Ora Mark si ritrova completamente solo su un pianeta inospitale e non ha nessuna possibilità di mandare un segnale alla base. E in ogni caso i viveri non basterebbero fino all’arrivo dei soccorsi. Nonostante tutto, con grande ostinazione Mark decide di tentare il possibile per sopravvivere. Ricorrendo alle sue conoscenze ingegneristiche e a una gran dose di ottimismo e caparbietà, affronterà un problema dopo l’altro e non si perderà d’animo. Fino a quando gli ostacoli si faranno insormontabili…


L’uomo di Marte: la recensione

L’uomo di Marte è una partita a Robinson Crusoe in modalità hardcore.

Su Marte non c’è alcun Venerdì a tendere una mano al nostro Mark Watney, né alcun clima adatto alla vita più elementare come quella degli organismi monocellulari. Non c’è voce umana che gli faccia vibrare il timpano, se non quella dei suoi monologhi; nessun suono, se non il ronzio di un motore o il fischio di una tempesta di sabbia che agita il telo dello hab. Nessuno, se non la fotocamera di un computer, che lo osservi spegnere candeline infilzate sull’ultima patata conservata in dispensa.

Non c’è nessun altro essere umano lì con lui, perché gli amici lo hanno decretato morto (erroneamente) e abbandonato su un pianeta alieno.

Se si rompe l’ossigenatore, Mark soffocherà. Se si inceppa il depuratore dell’acqua, morirà per disidratazione o contaminazione batterica. Se dà fondo alle scorte di viveri, si estinguerà nella lenta agonia di una morte per inedia. Il tasso di sopravvivenza su Marte, un’amena località di villeggiatura in cui tira aria densa di micidiale anidride carbonica, sarà direttamente proporzionale alla percentuale di voci non spuntate in una checklist di fatali incidenti. L’avvento di Ares 4, la prossima missione marziana sul calendario che porterà sul pianeta un nuovo carico di bipedi a base carbonio, luccica all’orizzonte come il miraggio di un’oasi nel deserto.

Mark Watney è, per dirla con parole sue, spacciato di brutto.


Venghino, lor terrestri, venghino

Mark Watney è spacciato perché Marte non è suo amico, bensì una landa arredata di rocce e crateri e ricoperta da strati di ossido di ferro che ostacolano qualsiasi impulso alla vita. A nulla valgono gli anatemi della NASA quando, in seguito a una tempesta di sabbia di dimensioni colossali, si vede costretta ad abortire Ares 3 per non immolare i suoi astronauti al dio della guerra.

Con le centinaia di milioni di dollari stanziati per finanziare la missione, Marte si soffia il naso. Sebbene i venti marziani, in virtù della minore pressione atmosferica, non siano così travolgenti come quelli terrestri, accade abbastanza spesso, infatti, che si sviluppino tempeste globali da adombrare tutta la superficie del pianeta e da minacciare un’ipotetica missione con equipaggio. L’ultima tempesta registrata, con grande scorno della comunità astronomica internazionale, ha imperversato appena qualche settimana fa. Strascichi dell’evento sono visibili tutt’oggi.

Marte, insomma, non è in vena di collaborare al progresso scientifico dell’umanità e sarà compito di Mark addomesticare il riottoso pianeta rosso. A suon di esplosioni, geniali espedienti e momenti di sconforto che Mark confessa al diario di bordo della missione, L’uomo di Marte descrive così la lotta per la sopravvivenza che vede salire sul ring un essere umano contro un intero pianeta.

Il cronista Andy Weir non risparmia al lettore colpo alcuno e sciorina con estremo realismo e (sovr)abbondanza di dettagli il ragionare scientifico che spinge Mark ad allungare il guantone destro anziché quello sinistro, a concedersi una pausa riflessiva sullo sgabello per individuare una breccia nella pelle coriacea dell’avversario. Il romanzo, in tal senso, si gusta al meglio con un’infarinatura di chimica, ed è forse questo il suo unico difetto.


Quei guardoni della NASA

Nel suo Destinazione spazio, recensito qui, Neil F. Comins illustra le principali attrazioni turistiche di un futuro in cui l’umanità partirà a razzo per Marte con l’assiduità e la naturalezza con cui oggi si imbarca su un Boeing alla volta di New York o del Giappone. Il numero di potenziali pericoli marca stretto quello dei divertimenti, perciò non tutto è oro ciò che brilla… né gli astronauti, o l’astronauta, nel nostro caso, sono perduti.

Al quartier generale della NASA, infatti, una dipendente dagli occhi di falco corruga la fronte. Ci sono delle incongruenze nelle immagini satellitari provenienti dall’orbita di Marte, a più di cinquanta milioni di chilometri di distanza. Le alternative sono due: o lo hab ha acquisito vita propria oppure l’equipaggio della missione Ares 3 ha lasciato a piedi un membro del gruppo che si pensava perso per sempre.

Indovinate qual è delle due?

Mentre Mark si impegna a non morire nell’immediato e sopravvivere nel lungo periodo coltivando patate fertilizzate a escrementi umani, il lettore ha modo di gettare un occhio a ciò che succede sulla Terra. Si scopre, infatti, che alla NASA stanno nascendo figure preposte a vigilare su ogni respiro di Mark davanti a un LCD e a una tazza di caffè…


La società oltre la scienza

Mark ancora non lo sa, perché gli ci vorrà un po’ per sintonizzarsi sulle frequenze di comunicazione del nostro pianeta, ma tutta l’umanità tifa per lui e il suo ritorno a casa. Per chi si trova in campo a giocare la partita, uno striscione di incoraggiamento può determinare la differenza tra la resa e il contrassalto.

Spogliato della sua componente fantascientifica, L’uomo di Marte è insomma una storia sul carattere universale dell’altruismo. Nazioni nemiche-amiche si stringono la mano in uno storico atto di cooperazione. Persone di tutte le etnie ed età convergono verso maxischermi installati nelle piazze di tutte le città del mondo o si stringono la mano in cerca di supporto morale. L’equilibrio tra le forze in gioco è ristabilito: per un solo essere umano, ecco che si mobilita un intero pianeta. Sembra che lo scontro non sia così impari, dopotutto, e che Mark sia lungi dall’essere abbandonato al proprio destino.


Per concludere

Un ottimo romanzo di fantascienza, con personaggi credibili e uno stile necessariamente leggero e umoristico che mitiga la monotonia della vita forzata su Marte. Non guasta la lettura l’aver già visto The Martian, il film ispirato al libro, malgrado la sua alta fedeltà all’originale: viene automatico fare un confronto tra i due.

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Mezza stellina.

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