Edit del 22/03/2019: a scanso dei numerosi (e, a posteriori, forse anche un po’ legittimi) equivoci, specifico che i primi paragrafi di questa recensione alludono a un altro racconto di un altro scrittore (Christopher Paolini, tra l’altro citato in questo stesso articolo). Aggiungo che da lettrice pagante è nel mio pieno diritto criticare un prodotto che reputo incompleto e ancora acerbo per la pubblicazione (se vado al mercato a comprare una sedia, per intenderci, non mi aspetto di comprare una sedia con tre gambe).
La scatola dei bottoni di Gwendy, altra novella di King, non è che la bozza di un potenziale romanzo (e stanti le reazioni al post credo di essere stata anche di manica larga nel giudicarlo). The Outsider inizia molto bene, ma si squalifica da metà libro in avanti (e gli ho comunque dato la sufficienza). Elevation, cifra stilistica a parte, l’ho trovato semplicemente inqualificabile e sì, con questa recensione, all’ennesimo acquisto che si traduce in un pugno di carta senza senso, ho deciso di “andarci giù pesante”. Un altro racconto incompiuto nel giro di una manciata di mesi. Cosa sono i lettori, galline da spennare? Che sia stato Stephen King a scriverlo dovrebbe costituire solo un’aggravante: le capacità non gli mancano, gli difetta solo un po’ la voglia di tornare a scrivere come ai vecchi tempi. Regalo stelline al merito, non alla fama.
Preciso infine, a beneficio di chi si affanna alla ricerca di ogni mio passo falso, che con Inheritance ho un rapporto troppo conflittuale per dichiararmi fan accanita. Ho scritto “i primi tre”, infatti, non “i tre”. Se volete infierire (nessuno ve lo vieta, così come non c’è nessuno che mi vieta di criticare negativamente un libro), almeno fatelo bene e in luoghi dove io possa controbattere. O, come ha già rilevato un utente, si finisce per sparare sulla Croce Rossa. Passo e chiudo e consegno ai posteri la recensione così come pubblicata originariamente.
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Nel Medioevo, i cavalieri senza spada si guardavano bene dal buttarsi nella mischia. Nell’anno corrente 2019 d.C., invece, va di moda l’improvvisazione. Scribacchini appena iniziati alla professione e scrittori più stagionati si armano di penna e si cimentano nella prova d’abilità scrittoria per eccellenza: il racconto.
E io sospiro e mi chiedo: perché? È una domanda retorica che mi pongo ormai a cadenza seriale.
Titolo: Elevation
Autore: Stephen King
Genere: sci-fi/horror
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 194
Un racconto di rara intensità, che è anche un omaggio ai suoi maestri, in cui King si prende la libertà, più che legittima, di dare una possibile risposta alle tristi derive del nostro tempo.
Scott Carey sta percorrendo senza fretta il tratto di strada che lo separa dal suo appuntamento. Si è lasciato alle spalle la casa di Castle Rock, troppo grande e solitaria da quando la moglie se n’è andata, se non fosse per Bill, il gattone pigro che gli tiene compagnia. Non ha fretta, Scott, perché quello che deve raccontare al dottor Bob, amico di una vita, è davvero molto strano e ha paura che il vecchio medico lo prenda per matto. Infatti Scott sta perdendo peso, lo dice la bilancia, ma il suo aspetto non è cambiato di una virgola.
Come se la forza di gravità stesse progressivamente dissolvendosi nel suo corpo. Eppure, nonostante la preoccupazione, Scott si sente felice, come non era da molto tempo, tanto euforico da provare a rimettere le cose a posto, a Castle Rock. Tanto, da provare a riaffermare il potere della parola sull’ottusità del pregiudizio. Tanto, da voler dimostrare che l’amicizia è sempre a portata di mano.
Elevation: la recensione
Che a mettersi in gioco siano dilettanti allo sbaraglio (*coff* Paolini*coff*) o autori affermati e acclamati, la morale è sempre la stessa: i bravi romanzieri sono pochi, i bravi novellieri ancora meno. Eppure, pare che di recente tutti si stiano scoprendo esperti raccontisti. Della serie, le scarpe col tacco sono all’ultimo grido e anche se ho la scoliosi le indosso anch’io. Se cammino come un piccione ubriaco poco importa, perché basta seguire la corrente modaiola.
C’è un anonimo che una volta disse: Scrivi di ciò che sai. A questa massima di saggezza io aggiungerei: Scrivi solo se hai idee, e con i tuoi spazi.
King era un grande, finché, lui come tanti altri, non è soccombuto alla pigrizia e all’avidità ha intravisto il barbaglio dorato di monete sonanti dietro alla pubblicazione di un breve racconto. Invece di abbandonare la vena ormai esaurita della sua creatività, come un Paperon de’ Paperoni che, fagotto in spalla, si lascia dietro il Klondike razziato di ogni grammo di pepita, King raschia ancora una volta il fondo del barile e propone un altro racconto incompleto.
Ha (malauguratamente) capito, forse, che il racconto è una misura del manoscritto da poca spesa, molta resa: tempi di stesura contenuti e prezzi finali in linea con i romanzi più spessi. Nel tempo che sacrifichi chino su un solo romanzo, c’è di che sfornare tre o più racconti.
Quello che voglio dire, insomma, è che King dovrebbe cercarsi altri terreni friabili in cui scavare, perché Elevation segna il punto più basso della sua carriera morente di minatore. Alla sua scarsa verve ho già accennato nella recensione di The Outsider: è come se King avesse perso tono muscolare, come se la sua brillantezza di un tempo si stesse atrofizzando e non potesse raggiungere le performance della gioventù. Le casistiche son due: o è invecchiato, ipotesi che caldeggio, o sarebbe ancora in grado di confezionare capolavori ma ha preferito vendersi al facile guadagno.
Scott vive il sogno di ogni donna
Protagonista di Elevation, novella agrodolce che sta all’horror quanto il ketchup sta alla pastasciutta, è Scott Carey. Fondale del palcoscenico, la famigerata Castle Rock.
All’ennesimo chilo lasciato sulla bilancia, Scott Carey decide che è ora di consultarsi con un suo caro amico e medico in pensione. C’è qualcosa che non va in me, si lamenta, non troppo preoccupato, perché mangio come una scrofa all’ingrasso e perdo comunque peso. Più che di una richiesta di aiuto, le sue parole hanno il tono di una confessione: dai medici che ancora esercitano, infatti, non si farà mettere i guanti di lattice addosso come il più impotente dei ratti da laboratorio.
Scott, in soldoni, sta perdendo peso. È come se la gravità della Terra non esercitasse su di lui la stessa forza che invece esercita per tutto e tutti sulla superficie del pianeta. Non solo, il morbo contagia temporaneamente tutte le cose con cui Scott viene a contatto diretto, siano esse oggetti inanimati, gatti o esseri umani. Il peso che preme sulla bilancia non cresce secondo logica: Scott in tenuta adamitica pesa tanto quanto Scott in cappotto foderato e polsiere da un chilo su ambo le braccia.
C’è qualcosa che ha mandato il suo metabolismo in overdrive. Non si conoscono le origini di questo qualcosa, ma Scott sa di essere un caso unico al mondo e nel suo intimo conosce già dove la malattia lo condurrà.
La mentalità provinciale, cancro del nostro secolo
Missy e Deirdre, vicine di casa di Scott, gestiscono lo Holy Frijole, un ristorante specializzato in cucina messicana. Sono omosessuali e sono sposate, per cui si attirano la malevolenza di tutte le noci avvizzite di Castle Rock. Il boicottaggio è silenzioso ma virale: il pettegolezzo passa di bocca in bocca, il locale si sfoltisce di clientela. Posso immaginarmi le recensioni su Trip Advisor: il cibo è genuino e delizioso, in cucina ci stanno due lesbiche, che schifo. Castle Rock sarà anche una cittadina immaginaria, ma i suoi abitanti sanno essere sorprendentemente realistici.
Scott non si lascia infettare dall’arretratezza mentale dei suoi coabitanti. Anzi, in mezzo ai due fuochi si sentirà più vivo, volenteroso e leggero che mai. Sfrutterà la sua condizione a proprio vantaggio per mediare tra gli opposti. La sua impronta fisica si assottiglia giorno dopo giorno: che l’impronta morale lasci un segno più profondo di quello impresso dalle sue scarpe. È così che Scott ascende e vive il morbo come una benedizione. Un tocco divino e a Scott crescono ali d’angelo, il mezzo con cui epurare Castle Rock dei suoi peccati.
Elevation vuole insegnare che chi è privo di pregiudizi si eleva al di sopra di tutti. Un messaggio positivo che viene, però, ficcato a forza nella bocca del lettore. Non è il messaggio che soggiace alla trama, ma è la trama (?) che soggiace al messaggio.
Elevation è anche l’intruso nella sezione horror
Oh, c’è Stephen in copertina. Allora deve essere senz’altro un horror, no? No.
Elevation non è affatto un horror, sebbene tutti i negozi e archivi letterari online si prodighino per classificarlo come tale. Goodreads, addirittura, l’ha eletto miglior horror del 2018. Non è che una storiella con poca lode, tanta infamia e una spessa impanatura di politically correct. Come in un ingannevole Bastoncino Findus, il pangrattato pesa più del filetto di merluzzo racchiuso al suo interno: l’intento è denunciare un’ingiustizia, non raccontare una storia, perché l’idea per una storia non c’è. La malattia di Scott da dove deriva, che senso ha, cos’è? Si salva giusto giusto lo stile evolutosi da decenni di esperienza.
Non è horror, non è thriller, non è romance… so soltanto quello che non è, e non è tante cose. Non è un bel racconto, per iniziare, né un buon acquisto. È la fiera dei cliché, dei personaggi senza senso e monodimensionali. La copertina è il vero elemento horror: inorridisce il pensiero che ci sia la mente di King dietro a questa oscenità.
Per concludere
Quando la penna ferisce più della spada. Qualcuno lo disarmi e gli sequestri il quaderno, per favore.
La lepisma libraia