[Recensione] “Noi siamo grandi come la vita” di Ava Dellaira

Copertina di Noi siamo grandi come la vita.

Noi siamo grandi come la vita è l’undicesimo libro letto e il primo libro detestato del mio 2018. Dopo il lietissimo avvento di romanzi quali I guerrieri di Wyld e Mezzanotte alla libreria delle grandi idee, mi chiedevo quando questo trend di lettura tutto in positivo avrebbe cominciato ad accusare il colpo di qualche dispiacere letterario. Era questione di tempo.

Titolo: Noi siamo grandi come la vita
Autore: Ava Dellaira
Genere: young adult
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 320

Tutto inizia con un compito assegnato nei primi giorni di scuola: “Scrivi una lettera a una persona che non c’è più”. E così Laurel scrive a Kurt Cobain, che May, la sua sorella maggiore, amava tantissimo. E che se n’è andato troppo presto, proprio come May. Per Laurel, la sorella era un mito: bella, perfetta, inarrivabile. Era il sole intorno a cui ruotava tutto, specie da quando i genitori si erano separati. Perderla è stato indescrivibile, qualcosa di cui Laurel non vuole parlare. Sulla carta, invece, Laurel si lascia finalmente andare. E dopo quella prima lettera, che non consegnerà all’insegnante, continua a scriverne altre, indirizzandole a Amy Winehouse, Heath Ledger, Janis Joplin e altri idoli della sorella scomparsa. Soltanto a loro riesce a confidare cosa vuol dire avere quindici anni e sentire di avere perso una parte di sé, senza nemmeno potersi aggrappare alla famiglia perché è andata in mille pezzi. Soltanto a loro può confessare la paura e la voglia di avventurarsi in quel mondo nuovo che è la scuola, la magia di incontrare amiche che ti fanno sentire normale e speciale al tempo stesso. Finché, come un viaggio dentro di sé, quelle lettere porteranno Laurel al cuore di una verità che non ha mai avuto il coraggio di affrontare. Qualcosa che riguarda lei e May. Qualcosa che va detto a voce alta: solo così Laurel potrà superare quello che è stato, imparare ad amarsi e trovare il coraggio di andare avanti.


Noi siamo grandi come la vita: la recensione

Regola numero uno del Lieto Lettore, che per disgrazia mi capita spesso di infrangere: mai crearsi delle aspettative. Più scaliamo il versante delle nostre speranze, più esteso sarà il florilegio di ematomi che esibirà il nostro corpo quando il terremoto della delusione scuoterà la roccia sotto ai nostri piedi e ruzzoleremo verso valle come biglie impazzite.

Conquistato il cocuzzolo della montagna di Noi siamo grandi come la vita grazie a una copertina trapunta di stelle e una sinossi più che promettente, l’idea era di amare anche il romanzo in sé: fare l’aerostop fino al firmamento, nidificare sulla G di quel Grandi e tenere banco con la protagonista, leggendo in sua compagnia. “Ciao, Laurel.” Avrei salutato così la ragazza appena sotto di me, seduta comoda sulla V. “Bellissimo libro, complimenti, in linea con le mie aspettative.”

Noi siamo grandi come la vita è come uno di quei regali fregatura tutta apparenza e niente sostanza. YouTube pullula di video testimoni delle conseguenze di questo tipo di scherzi natalizi a opera di parenti serpenti: la sceneggiatura di queste tragicommedie caserecce prevede che i frugoletti scuotano per aria la scatola di una Xbox, per poi strillare acuti da soprano nel rendersi conto, all’atto dell’apertura del pacco, di non aver riscosso da Santa Claus che un paio di calzini puzzolenti.

Nessun aereo verso la stratosfera, dunque, ma solo il sole cocente di un’ancora più cocente delusione.


La protagonista

Laurel sta ancora processando la morte della sorella maggiore quando si ritrova alle prese con la nuova realtà della scuola superiore. Siamo di fronte a una combinazione di due potenziali fonti di conflitto: un lutto non elaborato e tutta quella ridda di problematiche legate all’adolescenza. Le premesse sono dunque ottime, lo stesso non posso dire delle modalità di esecuzione.

Laurel è un pessimo personaggio. È così piatta che posta di profilo rischia di scomparire sullo sfondo. Il suo decennio di vita cosciente l’ha portata a formulare una sola, inossidabile certezza: sua sorella May è una persona da emulare fino alle doppie punte dei capelli. Quando viene a mancare in seguito a un incidente la cui dinamica viene rivelata solo in via di conclusione del romanzo, Laurel sembra affogare il dolore e trovare un nuovo senso alla vita spogliandosi della propria personalità per indossare quella della sorella, senza però capire di dare uno spettacolo affine a quello allestito da un mammut che tenti di infilarsi in un pigiamino 0-2 anni.

È così che Laurel si prefigge un nuovo, entusiasmante obiettivo: riscuotere gli apprezzamenti del personale studentesco con cui condividerà le lezioni, aka essere apprezzata e ganza e cool come la sorella. E per farlo, ha intenzione di lasciarsi stringere una medaglietta attorno al collo e farsi tirare al guinzaglio come l’obbediente cagnolino che è, tutta scodinzolante e sbavante all’idea di compiacere i compagni di scuola che la trascinano – ma trascinare implica forse troppo attrito – in una serie di meschinità ad alto potenziale diseducativo per i giovani lettori cui il libro è principalmente rivolto.

La mansueta e servizievole Laurel raggiunge e supera senza batter ciglio ogni tappa della demenza adolescenziale, di quella di cui abbondano i temini a carattere deterrente delle scuole superiori: cade nel vizio del tabagismo, corteggia il coma etilico, ruba, snocciola bugie ai genitori, scandalizza gli ignari avventori di un centro commerciale con una fugace esposizione delle proprie tette, se la svigna nottetempo calandosi come un ladro dalla finestra… e poi, tra una sceneggiata da bagordi e l’altra, le riesce pure di credere nelle fate.

Al che sale l’impulso di sfondarle un timpano con un doveroso “Svegliati!” e assumersi la responsabilità, per mezzo di qualche sventola ben assestata, che la sua età cerebrale si metta in pari con quella anagrafica. Laurel è stato uno dei personaggi più detestabili di cui abbia mai avuto la sciagura di leggere. È, per dirla tutta, un organismo unicellulare.

L’intento dell’autrice di mostrare quanto Laurel tenesse alla sorella tanto da annullarsi e vivere la vita in funzione di lei si converte nel fumo di una prosa tutta raccontata.


Lo stile

Mah, vien da chiedersi allora… com’è scritto? Risposta: male. È scritto male e sviluppato peggio.

Le lettere che Laurel indirizza a personaggi famosi dell’Oltretomba sono affette da Infodumpismo Selvaggio e Contaminazioni Autoriali. Lasciate che due estratti del testo chiariscano il concetto (perdonate se sono in inglese, ho letto il romanzo in lingua originale):

The air […] smelled a way that makes you feel how the world is right up close, rubbing against you.

Sky reminds me of you a bit, honestly. How he’s a boy, and strong, and the air makes way for him when he walks through it. But also how there is something fragile like moths inside of him, something fluttering. Something trying desperately to crowd toward a light.

Stucchevole, non c’è che dire. Peccato che questi inserti siano frutto di uno sproloquio narcisistico dell’autrice e non, come si suppone, di una ragazza adolescente. In mezzo a un mare di frasi insulse che potrebbero trovare giusta collocazione nel diario di una bambina delle elementari, queste isole pseudo-filosofiche affascinano come pugno nell’occhio.

Sublimi, poi, le derive infodumpose. Le lettere seguono essenzialmente un copione che si può così riassumere: Cara […], biografia, biografia, biografia. Sky è così figo. Ho fatto questo, questo e questo. Tua, Laurel.

Su carta, questo si traduce in farneticazioni del tipo:

Dear Persona Famosa,

I was reading about you tonight, because I wondered what your life was like when you were a kid. You were the center of attention in your family, but after your parents divorced when you were eight, you were orphaned in a way. You were angry. You wrote on your wall: I hate Mom, I hate Dad, Dad hates Mom, Mom hates Dad, it simply makes you want to be sad. You said the pain of their split stayed with you for years. They passed you from one of them to the other. Your dad remarried, and your mom had a boyfriend who was bad to her. By the time you were a teenager, your dad had custody of you, but he passed you off to live with the family of your friend. Then you moved back to live with your mom. When you didn’t graduate high school or get a job, she packed your stuff into boxes and kicked you out.
You were homeless then. You stayed on other people’s couches, or sometimes you slept under a bridge, or in the waiting room of the Grays Harbor Community Hospital—a teenager just becoming a man, sleeping alone in the hospital where you were born eighteen years before.

Cara Laurel,

penso che Persona Famosa possa condurre un’esistenza felice nell’Aldilà anche senza che qualcuno le ricordi i dettagli della sua vita in terra, come non serve che nessuno ricordi a te di che colore sono i tuoi capelli. Ma che ne è del lutto per tua sorella? Delle tue emozioni? Un consiglio spassionato: risparmia a noi lettori paganti il tedio comatoso delle biografie. A quelle già pensa la gratuita Wikipedia.

Baci,
Lepisma


Emozioni non pervenute

Noi siamo grandi come la vita è un libro di promesse disattese perché la quarta di copertina promette emozioni dove non ce ne sono. A questa deficienza emotiva concorre non solo lo stile amorfo in cui si rispecchia la monodimensionalità della protagonista, ma anche un rapporto sentimentale costruito a tavolino.

Come gli occhi di Laurel si posano su di lui, è insta-love. Lui, bipede a base carbonio conosciuto all’anagrafe come Sky,  “Cielo”, reagisce all’interesse di Laurel con lunghi e famelici scambi di sguardi. Siamo sicuri che non si chiamasse Edward, da piccolo? Procedendo con la lettura si scopre che anche il suo personaggio è un pochino carente in fatto di personalità, finché non si finisce per porsi la fatidica domanda: ‘sti due son come l’olio e l’acqua, zero chimica, come han fatto a mettersi insieme?. Esigenze di trama, presumo.

Altra nota di demerito, la superficialità. Tematiche delicate e superficialità vanno spesso a braccetto nel mondo delle fanfiction. Per forza: che grande esperienza potrà mai vantare una scrittrice occasionale che è probabile abbia spento dodici candeline solo la scorsa settimana? Ma da un’autrice pubblicata, da un libro che è passato sotto l’occhio ipercritico di un editor, non mi aspetto altrettanto pressappochismo.


Ricapitolando…

Libro scialbo da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Ne consiglierei la lettura? Sì, ai masochisti.

Stellina per recensioni.
Stellina per recensioni.

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[Recensione] “I guerrieri di Wyld. L’orda delle tenebre” di Nicholas Eames

Copertina de I guerrieri di Wyld. L'orda delle tenebre.

Amanti del fantasy e nerd incalliti a rapporto!

Più di 500 pagine di succose avventure che strizzano l’occhio agli RPG degli anni Novanta vi aspettano in libreria questo 8 febbraio (spero quindi perdonerete le citazioni in lingua originale). Se avete bruciato pomeriggi a brandire mazze chiodate contro orchetti e viverne, a collezionare tutto un armamentario di spadoni e cotte di maglia leggendarie e dai nomi arcani, a distribuire minuziosamente punti abilità ai vostri avatar, se per voi titoli quali Dungeons & DragonsMight and Magic, WarcraftIcewind Dale e Sacred suscitano un senso dolceamaro di nostalgia, allora dovreste sentirvi moralmente obbligati a leggere il romanzo d’esordio del talentuosissimo Nicholas Eames.

 

Titolo: I guerrieri di Wyld. L’orda delle tenebre
Autore: Nicholas Eames
Genere: fantasy/umoristico
Editore: Nord
Pagine: 550

Il pacifico regno di Castia è stato invaso dall’orda di HeartWyld, un devastante esercito di orchi e mostri. Un tempo, Clay Cooper sarebbe stato in prima fila per combatterlo: lui e la sua banda di mercenari erano guerrieri straordinari e le loro imprese sono leggendarie. Ormai però sono passati vent’anni e i giorni di gloria sono finiti. La Castia è lontana e Clay deve pensare a proteggere la sua famiglia. Ma tutto cambia quando alla sua porta bussa Gabe, il loro vecchio comandante: la figlia è scappata di casa per unirsi alla resistenza castiana e Gabe deve salvarla. Anche perché l’unico modo per raggiungere la Castia è superare il Wyld, un luogo selvaggio e pericoloso, infestato da più orrori di quanti si possano immaginare. E Clay è costretto a rendersi conto della minaccia che incombe su di loro: senza rinforzi, la Castia è condannata e sarà solo questione di tempo prima che l’orda continui la sua marcia di morte. Ma nessuno è in grado di affrontare il Wyld. Tranne loro, gli unici ad averlo attraversato ed essere sopravvissuti per raccontarlo. Clay e Gabe non hanno dubbi: devono rimettere insieme la banda. Insieme, potrebbero diventare l’ultima speranza per l’intera stirpe degli uomini…

Voto:

 

La recensione

Sacred, un RPG per computer uscito nel 2004, ha fatto la mia adolescenza. Col tempo ho un po’ abbandonato l’ossessione per i giochi di ruolo, e quando tre anni fa, spinta da chissà quale ricordo, ho provato a installarlo sul desktop, non mi sono strappata i capelli nel rendermi conto della completa, assurda incompatibilità del gioco con la mia versione di Windows 7.

Devo puntare un dito accusatore verso I guerrieri di Wyld se ora mi ritrovo a fremere davanti al computer con la coscienza divisa in due inconciliabili fazioni: quella che “ora che hai Windows 10, magari il gioco funziona, perché non provi a reinstallarlo?” e quella de “hai di meglio da fare che accoppare goblin e portare il tuo mago guerriero di ghiaccio con set di Blackstaff a livello 200”.

Sì, I guerrieri di Wyld fa questo effetto. Non è un epic fantasy da prendere sul serio: è un tributo, in forma parodistica, ai cultori del genere fantasy e ai giochi di ruolo che si ispirano a questo filone, e come questi giochi è intriso di azione. Così tanti sono i combattimenti degni di nota – tutti, praticamente – che sembra quasi di essere protagonisti di un videogioco ed è difficile scegliere un vincitore.

 

I componenti di Saga

Clay: un padre, un marito, un uomo di poche pretese i cui propositi di un’esistenza serena e lontana dalle luci della ribalta dei tempi d’oro della banda vengono sbrindellati dall’improvvisa comparsa di Gabriel sui gradini di casa. La notorietà del passato non ha scalfito la sua umiltà. I suoi occhi sono il punto di vista da cui è narrata la vicenda ed è un protagonista con cui viene naturale empatizzare: quando decide di imbarcarsi in quella che ha tutta l’aria di essere una missione suicida, le sue paure sono tutt’altro che infondate. Imbraccia Blackheart, uno scudo unico nel suo genere – non lo sottovalutate: se vi dà il benvenuto sui denti, son dolori.

Moog: imparerete ad adorare le bizzarrie del suo personaggio. Mai a corto di trucchi nel suo cappello, Moog è uno stregone che ha dedicato parte dei suoi studi per distillare un equivalente del nostro Viagra, dal nome “allitterazionante” di Magic Moog’s Magnificent Phallic Phylactery, grazie al quale si è rimpinguato le tasche nei lunghi anni seguiti allo smantellamento della banda. Il suo mantra? There’s a way. It’s risky, though.

Gabriel, per gli amici Gabe: nonostante gli acciacchi incipienti della mezza età, non ha problemi ad affettare i nemici con turbini di fendenti della sua spada, Vellichor, che brandisce con precisione svizzera. Da anni accarezza l’idea di rifondare la squadra di mercenari in un continuo susseguirsi di buchi nell’acqua, ma quando è in gioco la vita di sua figlia Rose, l’amore di padre gli infonde la determinazione necessaria a perseguire il suo intento fino alla fine.

Matrick: ladro di professione convertito a regnante. Se gli agi di un’esistenza condotta in panciolle fra cuscini di piume, tavole imbandite e bicchieri di vino gli hanno conferito una circonferenza un po’ tondeggiante lungo la vita, il peso eccessivo sulle gambe non lo rende meno letale quando dai muscoli della mascella si tratta di scendere a quelli delle braccia: Roxy e Grace, i pugnali gemelli che mulina con destrezza da danzatore, fanno di lui un combattente da cui è meglio tenersi alla larga.

Ganelon: un gigante d’uomo, stimato da tutti per le sue sbalorditive abilità di combattimento con Syrinx, la sua ascia. Il “guerriero” propriamente detto, una dinamo a riserva di carburante infinita. L’ultimo a dover essere reclutato, il membro il cui rifiuto significa la morte certa dell’impresa.

Sono personaggi talmente vividi da farsi persone. Hanno desideri, affetti, difetti. Mai come in questo caso sono validi i detti l’unione fa la forza e tutti per uno, uno per tutti: Gabriel non ha alcuna possibilità di portare a termine la missione da solo, ma quando Clay risponde al suo SOS come soltanto un migliore amico può fare, e mano a mano che i fili solitari di questi cinque amici si ricuciono nella formazione originaria, niente e nessuno può più districarli. Dopo quasi vent’anni trascorsi ognuno nel proprio isolamento, i mercenari sono pronti a un ultimo gesto eroico prima che la vecchiaia inclemente li privi del tutto della loro passione di avventurieri.

E se il gentil sesso non trova un posto in questa schiera dalle ginocchia vagamente cigolanti, non commettete l’errore di pensare che I guerrieri di Wyld non faccia scendere in campo presenze femminili di tutto rispetto. Allo squinternato quintetto, infatti, fa da contorno una pletora di personaggi l’uno più indimenticabile dell’altro. Le personalità secondarie, spesso e purtroppo relegate al ruolo di spalla o di piantina ornamentale, trovano qui finalmente giustizia.

 

Lo stile

Eames sorprende fin dalle prime righe per la sua abilità scrittoria e gestione della narrazione. Non si ravvisano periodi morti, sbavature di punti di vista né rallentamenti, il ritmo è serrato e le descrizioni degli scontri sono di una qualità che perfino autori più affermati, che davanti alla scrivania hanno piantato radici vecchie di anni, stentano a raggiungere: Clay registra il mondo di Grandual coi suoi occhi e ce lo consegna senza sconti né riassunti, in tutta la sua ricchezza di dettagli concreti.

La costruzione del mondo, in inglese worldbuilding, pilastro portante dei romanzi fantasy, è anche lei di ottimo livello: la gente di Grandual professa una religione politeista, il trambusto delle città giunge ai nostri sensi come se lo stessimo vivendo e respirando in prima persona; il mondo pullula di creature dai nomi immaginifici, fra le quali si annovera la razza dei druin (si attende la traduzione in lingua italiana), che colpisce per essere un curioso miscuglio tra fisionomia umana e soffici orecchie da coniglio.

A questa razza appartiene l’Evil Lord di turno, LastLeaf (“UltimaFoglia”), capitano dell’orda delle tenebre menzionata nella sinossi. Lungi dall’essere il concentrato di stereotipi cui il termine Evil Lord allude, LastLeaf si rivela un personaggio con una propria personalità e una giustificazione plausibile alla smania di seminare un bel po’ di Disperazione & Carestia in quel di Castia. Non deridete le sue orecchie, potrebbe risentirsene.

Una nota di merito va senz’altro all’umorismo e alle similitudini nient’affatto scontate:

Matty’s voice had found a tone that balanced on the blade’s edge between pleading and placating. Clay imagined it was what a talking dog might sound like while explaining to its master why it had shit all over the rug.

[…]

The booker’s toothy grin withered like a cock in cold water.

 

Schitarrate e scazzottate per tutti i gusti

Dal momento in cui il cerchio della banda si chiude con l’annessione dell’ultimo componente fino alla parola fine, si assiste a un crescendo di azione e adrenalina che esplode, alla stregua di fuochi d’artificio, nello scontro che verrà consacrato negli annali e che decreterà il successo o meno dell’impresa (salvare Rose dall’assedio che tiene in scacco la città di Castia) e il destino del continente di Grandual stesso. Gli ultimi capitoli serbano scazzottate a non finire. E quando la polvere finalmente si posa a terra a indicare la conclusione del conflitto, l’istinto è quello di sfogliare le pagine a ritroso per rivivere, sulla nostra pelle d’oca di lettori assorbiti dal libro fino all’ultimo neurone, l’euforia della battaglia finale. Non mancano, in questo tripudio di assoli, interludi più profondi e riflessivi, addirittura toccanti.

Se il clima suona rockettaro, è perché lo è: sul sito di Nicholas Eames trovate, oltre a una galleria di concept art e a una mappa del mondo dal sapore piuttosto tolkieniano (osservate un minuto di silenzio reverenziale per il lavoro certosino dietro a ogni singolo albero di HeartWyld, prego), la colonna sonora che ha ispirato l’autore nella stesura di ogni capitolo. Lo stesso autore, nei contenuti extra in coda al libro, parla del filo rosso che collega Saga a una band rockettara:

[…] the weapons I assigned to each of the main characters were due to their assigned role in a metaphorical rock band—the most obvious being Matrick wielding a pair of “drumstick” knives and Ganelon using an axe, which is, of course, slang for “guitar.” Clay was envisioned as the guy on bass whose name everyone forgets but without whom the song just doesn’t feel right.

Matrick è il batterista, Ganelon il chirarrista e a Clay è assegnato il ruolo spesso trascurato, ma fondamentale, del basso. Gabriel? È il frontman, naturalmente.

 

Il romanzo è autoconclusivo

Avete letto bene: sebbene sia il primo volume di una serie (il secondo si intitola Bloody Rose [“Rose la Sanguinaria”] ed è atteso nelle librerie inglesi il 24 aprile 2018), ogni libro si concentra su una determinata banda di mercenari ed è quindi una storia a sé stante.

 

Per concludere… Viverna? Drago?

I guerrieri di Wyld è un fantastico romanzo.

E la conoscete la differenza tra viverna e drago? No? Lasciate che vi spieghi, allora…

LastLeaf monta una viverna e Clay, in una delle sue rimuginazioni, si premura di rendere nota la differenza fra questi rettiloni sputafuoco. I draghi hanno quattro zampe, nelle viverne le zampe anteriori sono fuse allo scheletro delle ali. Smaug non è un drago, è una viverna! (E neanche tu puoi fregiarti della nomenclatura di drago, o ruggente Drogon.) Ogni volta che qualcuno dice che drago o viverna sono la stessa cosa, da qualche parte c’è un fedelissimo del fantasy che soffre di un attacco di cuore. Grazie, Eames.

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Le novità editoriali di febbraio 2018

Novità editoriali.

Gennaio si addormenta, febbraio schiude gli occhi, e una nuova carrellata di libri attende di approdare in libreria. La narrativa selezionata questo mese guarda soprattutto alle lingue germaniche: fra i romanzi in lingua inglese, infatti, troviamo opere promettenti da parte di autori danesi e islandesi. Diamo loro un’occhiata.

I guerrieri di Wyld. L’orda delle tenebre – Nicholas Eames

I guerrieri di Wyld.Titolo: I guerrieri di Wyld. L’orda delle tenebre
Autore: Nicholas Eames
Casa editrice: Nord
Pagine: 550

In libreria dall’8 febbraio 2018

Il pacifico regno di Castia è stato invaso dall’orda di HeartWyld, un devastante esercito di orchi e mostri. Un tempo, Clay Cooper sarebbe stato in prima fila per combatterlo: lui e la sua banda di mercenari erano guerrieri straordinari e le loro imprese sono leggendarie. Ormai però sono passati vent’anni e i giorni di gloria sono finiti. La Castia è lontana e Clay deve pensare a proteggere la sua famiglia. Ma tutto cambia quando alla sua porta bussa Gabe, il loro vecchio comandante: la figlia è scappata di casa per unirsi alla resistenza castiana e Gabe deve salvarla. Anche perché l’unico modo per raggiungere la Castia è superare il Wyld, un luogo selvaggio e pericoloso, infestato da più orrori di quanti si possano immaginare. E Clay è costretto a rendersi conto della minaccia che incombe su di loro: senza rinforzi, la Castia è condannata e sarà solo questione di tempo prima che l’orda continui la sua marcia di morte. Ma nessuno è in grado di affrontare il Wyld. Tranne loro, gli unici ad averlo attraversato ed essere sopravvissuti per raccontarlo. Clay e Gabe non hanno dubbi: devono rimettere insieme la banda. Insieme, potrebbero diventare l’ultima speranza per l’intera stirpe degli uomini…

Apro i finalisti di febbraio con il primo episodio di una serie fantasy che ha spopolato all’estero. Lo sto leggendo in questi giorni (titolo originale: The Kings of the Wyld) e stante la mia esperienza a un centinaio di pagine dalla fine non faccio fatica a motivare il suo successo. In un filone ormai saturo di trame che si riciclano, I guerrieri di Wyld è una piacevole ventata di novità. I personaggi sono tutt’altro che regali, ma di questo riparlerò, con gli interessi, nella recensione che prevedo di condividere con voi fra qualche giorno.


Sorprendimi! – Sophie Kinsella

Copertina di Sorprendimi! di Sophie Kinsella.Titolo: Sorprendimi!
Autore: Sophie Kinsella
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 312

In libreria dal 13 febbraio 2018

Qual è la ricetta per un matrimonio felice e longevo? Quale sfida comporta un’unione profonda tra due persone? Con la sua voce sempre originale, ironica e sensibile, Sophie Kinsella racconta le gioie e i dolori del matrimonio.

Dan e Sylvie stanno insieme da dieci anni. Matrimonio felice, due splendide gemelle, una bella casa, una vita serena. Sono talmente in sintonia che quando uno dei due inizia a parlare l’altro finisce la frase… è come se si leggessero nel pensiero. Un giorno però, dopo una visita medica di routine, scoprono di essere così in forma che la loro aspettativa di vita è di altri sessantotto anni. Ancora sessantotto anni insieme? Dan e Sylvie sono sconcertati. Non pensavano certo che “finché morte non ci separi” significasse stare insieme così a lungo! Dopo l’iniziale stupore, si instaura tra i due un certo disagio, seguito a ruota dal panico più totale. Decidono dunque di farsi delle “sorprese” per ravvivare fin da subito il loro matrimonio “infinito”, per non stufarsi mai l’uno dell’altra… Ma si sa bene che non sempre le sorprese portano al risultato sperato… e in un batter d’occhio sorgono contrattempi poco graditi e malintesi che rischiano di minare le fondamenta della loro unione. E quando cominciano a emergere alcune verità taciute, Dan e Sylvie iniziano a domandarsi se dopo tutto… si conoscono davvero così bene.


Isola – Siri Ranva Hjelm Jacobsen

Copertina di Isola.Titolo: Isola
Autore: Siri Ranva Hjelm Jacobsen
Casa editrice: Iperborea
Pagine: 224

In libreria dal 7 febbraio 2018

Dopo la morte della nonna, una giovane ragazza danese decide di tornare a Suduroy – l’isola dell’arcipelago delle Faroe da cui proviene la sua famiglia – a cercare le sue origini in una cultura che ha ereditato ma che non le appartiene e in una lingua estranea in cui «non sa neppure pronunciare il suo nome.» L’unico legame concreto con quel mondo è il rapporto con i nonni Marita e Fritz, emigrati in Danimarca negli anni ’30, la sua immaginazione e tutti gli aneddoti che fin da piccola le hanno raccontato. È stata la vita durissima dei pescatori nel mare del Nord, «il posto in cui l’uomo è meno benvenuto al mondo» a far nascere in Fritz il desiderio di un destino diverso, ed è l’urgente desiderio di felicità e la necessità di sfuggire alla durezza della vita a guidare tutta questa grande saga famigliare che si snoda tra la Danimarca e isole sperdute nell’Oceano Atlantico del Nord. Una storia che racconta quasi un secolo di storia e di vite, dall’amore segreto tra Marita e Ragnarr il Rosso, al patto tra Jegvan e Ingrún, la più ricca dell’isola, e allo sfortunato destino del figlio di Beate, passando attraverso la Seconda guerra mondiale, il protettorato inglese e la lotta per l’indipendenza. Con una lingua ispirata, densa, poetica e a tratti incantata Siri Ranva Hjelm Jacobsen ci parla di amore, di emigrazione, di quello che si perde e si acquista nel nascere in un paese straniero, della nostalgia di casa, della riscoperta delle proprie radici e delle leggende popolari che sopravvivono allo scorrere del tempo. E sullo sfondo di tutta la narrazione, una natura grandiosa e indomita che non si piega mai alla volontà umana e anzi sopravvive nel cuore della protagonista, che non vi è nata, eppure non può fare a meno di amarla.

Il mese scorso abbiamo visto Emilia l’elefante, ultimo frutto di uno scrittore finlandese, e questo febbraio ci spostiamo nella penisola scandinava con il romanzo di un’autrice danese. La combinazione di Isola + Danimarca mi richiama alla mente un vecchio romanzo, sempre edito da Iperborea, chiamato L’isola di Odino. Spero un giorno di recensirlo.


Il cacciatore di orfani – Yrsa Sigurðardóttir

Copertina de Il cacciatore di orfani.

Titolo: Il cacciatore di orfani
Autore: Yrsa Sigurðardóttir
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 405

In libreria dal 6 febbraio 2018

Il rituale con cui è stato commesso l’omicidio allude chiaramente a una punizione. Ma quale colpa può giustificare una simile brutalità? L’unica persona in grado di rispondere è la figlia della vittima, una bambina di sette anni ritrovata nella stanza in cui sua madre è stata uccisa. Ma la bambina non parla. Fresco di promozione, il detective Huldar si rivolge a Freyja, una psicologa specializzata in traumi infantili, per cercare di raccogliere indizi che solo la bambina può rivelare. A Freyja l’idea di collaborare con Huldar non va per nulla a genio: mai avrebbe pensato di trovarsi sul lavoro l’uomo incontrato per caso in un bar e con cui ha trascorso una notte occasionale. Nel frattempo il killer non smette di mietere vittime e disseminare strani messaggi: una serie di indecifrabili combinazioni numeriche, rivolte particolarmente a un solitario radioamatore. Perché? Quale oscuro messaggio nascondono?

Acclamata come la maggior scrittrice islandese di thriller, Yrsa Sigurðardóttir inaugura una serie straordinaria con al centro una coppia di investigatori imbattibile: un poliziotto e una psicologa, un tempo amanti e ora ai ferri corti, costretti a portare a termine la loro indagine più difficile.


Koridwen. U4 – Yves Grevet

Copertina di Koridven. U4.Titolo: Koridwen. U4.
Autore: Yves Grevet
Casa editrice: Garzanti
Pagine: 304

In libreria dal 1 marzo 2018

Koridwen, Jules, Stéphane e Yannis hanno tra 15 e 18 anni. Non si conoscono. Ma sanno di essere l’unica speranza dell’umanità.

«Tenete viva la speranza. Siamo pur sempre i Guerrieri del tempo. E io conosco il modo per tornare indie-tro. Lo conosco da sempre. Ma non posso farlo da solo. Ho bisogno di voi. Insieme potremo riscrivere il passato ed evitare così la catastrofe. Credete in me, credete in voi e sconfiggeremo il più potente dei ne-mici: il virus.» – Khronos

Il mondo è popolato solo da adolescenti che hanno tra 15 e 18 anni: gli unici sopravvissuti al virus U4. Koridwen vive in una fattoria isolata in Bretagna dove, da sola, prova a rimettere in piedi la propria vita. Fino al giorno in cui tutto cambia. Fino al giorno in cui scopre di essere la prescelta per fermare il virus nella sua corsa mortale. Koridwen non capisce perché abbiano scelto proprio a lei, ma non può non rispondere al misterioso appello che ha ricevuto da Khronos, il game master di Warriors of Time, il videogioco online di cui era appassionata prima della catastrofe: deve trovarsi il 24 dicembre a mezzanotte sotto l’orologio più antico di Parigi. Spetta a lei salvare il mondo. Koridwen ha paura, eppure sa che c’è una sola cosa che può darle la forza di affrontare il suo destino: la lettera che la nonna le ha lasciato e che le rivelerà il segreto che si nasconde nel suo nome. Quello che trova arrivata nella capitale francese è una realtà totalmente nel caos: il cibo scarseggia, le comunicazioni sono impossibili, non c’è elettricità e i monumenti più importanti della città sono stati presi d’assalto. Ko-ridwen deve fare di tutto per proteggere la sua vita e raggiungere il luogo dell’appuntamento. Ma non è sola. Con lei altri tre ragazzi, altri tre prescelti: Jules che ha tra le mani segreti che non può svelare; Stéphane, convinta che il padre medico non sia morto; e Yannis, assetato di vendetta per la morte della sorellina. Insieme sono l’unica speranza di salvezza per l’umanità. Non c’è tempo per la paura, i dubbi, le incertezze: anche se sono solo quattro ragazzi devono sfoderare il loro coraggio e tutte le loro risorse. Perché nessuno sa cosa li aspetta. Nessuno sa cosa dovranno affrontare. Nessuno sa perché è toccato proprio a loro. L’unica cosa sicura è che il futuro è nelle loro mani.

Un caso editoriale strabiliante che arriva dalla Francia e che ha ammaliato i librai: 200.000 copie vendute in un mese e sempre in vetta alle classifiche. Koridwen è il primo libro della saga che ha fatto impazzire i lettori d’Oltralpe: quattro volumi, quattro autori diversi, quattro ragazzi prescelti per salvare il mondo.

Lo so, lo so, in uscita il 1 marzo. Ma febbraio ha solo 28 giorni e possiamo sforare di 24 ore per puntare l’ultimo fascio dii riflettori su questo young adult dalla storia curiosa. Quattro libri, quattro autori, quattro punti di vista: la stessa storia raccontata da quattro paia di occhi.

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[Recensione] “Il canto del ribelle” di Joanne Harris

Copertina de Il canto del ribelle.

Joanne Harris è famosa per essere l’autrice di Chocolat, ma è altrettanto conosciuta alle luci della ribalta grazie ai romanzi della serie Runemarks, di cui Il canto del ribelle, pubblicato per la prima volta nel 2014, è il prequel. A più di dieci anni di distanza dalla pubblicazione del primo volume, la serie è più fervida che mai. È in programma infatti l’uscita di un secondo prequel, dal titolo The Testament of Loki, per maggio 2018.

Titolo: Il canto del ribelle
Autore: Joanne Harris
Genere: fantasy/mitologico
Editore: Garzanti Libri
Pagine: 320

Per Loki, il dio delle fiamme, intelligente, affascinante, ingannatore, spiritoso, l’accoglienza ad Asgard non è delle migliori. Nella città dorata che s’innalza nel cielo in fondo al Ponte dell’Arcobaleno, dove vivono le donne e gli uomini che si sono proclamati dèi, tutti diffidano di lui, che ha nelle vene il sangue dei demoni. Malgrado la protezione di Odino, Loki ad Asgard continua a non essere amato: quello è il regno della perfezione, dell’ordine, della legge imposta. Entrare definitivamente nella schiera delle divinità più importanti, per lui, è impossibile: non solo gli viene impedito, è la sua stessa natura ribelle a impedirglielo. Ma arriva il momento della sua riscossa. Il mondo delle divinità è agli sgoccioli, una profezia ne ha proclamato la fine imminente. E Loki potrà mettere le sue capacità al servizio di Asgard e dei suoi abitanti. È lui che si adopera, con la sua astuzia, per trarre in salvo Thor e compagni. Ma gli dèi sono capricciosi, volubili e di certo non più leali di Loki. Adesso è giunta per lui l’ora di decidere da che parte stare, chi difendere e contro chi muovere battaglia. E di scoprire se i suoi poteri e la sua astuzia possono davvero salvarlo dalla fine che minaccia i Mondi e le creature, umane e divine, che li abitano. Joanne Harris ci porta nelle atmosfere piene di fascino della mitologia nordica: le divinità buone e cattive, i popoli in lotta tra loro, le forze oscure, le città fantastiche e le battaglie sanguinose. Protagonista assoluto è Loki…


Il canto del ribelle: la recensione

Che il ribelle in copertina si identifichi nella persona di Loki penso sia ormai conoscenza universale – perlomeno di chi approderà a questo post tramite una ricerca su Google, in dubbio se comprare o no il romanzo. Sono sufficienti le prime pagine per introdurre le altre pedine in gioco: fra la schiera dei personaggi del libro, si riconoscono le divinità più famose – Odino, Thor, Frigg, Heimdall, Sif – e si individuano, per chi questo libro rappresenta il primo accostamento al mito norreno, identità più oscure che faranno presto la loro entrata in scena. L’arena di scontro è Asgard, cittadella elitaria degli dèi al centro del cielo.

Parliamo ora del Loki griffato Harris. La sua è una voce che si incarica di riscrivere i miti nordici per come ci sono giunti ai giorni nostri. La versione classica della storia (glissando sui possibili ritocchi dati da letture cristianizzate) ha sempre riservato a Loki un posto di poco valore al tavolo delle divinità, descrivendolo come un piantagrane bilioso spinto al litigio per puro spirito di antagonismo. D’altro canto, fra un insulto e l’altro il mito gli riconosce anche momenti di perspicacia che sistematicamente finiscono per salvare la pellaccia di tutto il pantheon, e che tuttavia non possono affrancarlo dalla sua reputazione di persona sgradita e da un ineluttabile destino che, come viene più volte ripetuto nel mito attraverso la profezia della Veggente, – di cui si ritrova una parafrasi nel libro – incombe su tutti gli dèi come un cappio sul collo di un condannato al patibolo.

In tutto il corpus risalta chiara questa dicotomia di persona sgradita prima e genio provvidenziale poi, in un percorso fra valli e monti che conduce inesorabilmente verso il tramonto di tutto, la morte di tutti gli dèi. Il Loki di Harris riprende questo tema di alti e bassi e presenta il mito da un altro punto di vista: il suo. Motivo conduttore del libro è infatti la volontà di riscattarsi e informare i popoli senzienti di come siano andate davvero le cose, di come Loki, cioè, ingannatore degli ingannatori, sia stato in realtà ingannato a sua volta, e senza moventi – a detta sua – a giustificarne l’atto.

La voce del protagonista è dissacrante, dal tono sarcastico, e l’ho trovata, generalmente parlando, coerente con la personalità ambigua e sprezzante del Loki mitologico. Le due entità non si rispecchiano appieno per motivi che spiegherò a breve, ma al pari dei lati di una moneta condividono un nucleo fatto della stessa sostanza. Come il suo parente stretto, infatti, il Loki di Joanne Harris usa la lingua come un machete per ammaliare, abbindolare, seminare zizzania, per cavarsi fuori dai guai verso i quali sembra esercitare una forte attrazione magnetica: dove aggiusta una falla ne fa esplodere altre cento, al pari di uno scalognato Paolino Paperino alle prese con le tubature del lavabo.

A distinguerlo dalla sua controparte mitologica è la ricerca di una giustificazione alle sue malefatte. Come Paperino dà la colpa alla iella, così questo Loki trova, nella sua natura ribelle di demone nato dal Caos, un alibi alla sua apparente impossibilità di guadagnarsi uno sguardo amichevole fra i vicini di casa. Diversamente da come racconta il mito, sarebbe in pratica la sua estrazione ciò che gli impedisce di instaurare rapporti di amicizia, un retaggio di sangue cattivo che gli vale, fra le tante cose, un tesissimo comitato di benvenuto fra i ranghi di Asgard, una lunga, aperta ostilità e una sensazione di “diverso”, di antipatia a pelle che mai lo abbandona del tutto.
Questa è la sua storia, e da buon protagonista tira l’acqua al proprio mulino.


Lo stile

Il Canto del Ribelle è il primo romanzo che ho letto di Joanne Harris, perciò non ho metri di giudizio per decidere se testimoni un suo miglioramento o peggioramento stilistico: lascio a voi l’arduo giudizio. Posso dirvi, però, cosa ne penso dello stile usato in questo libro.

Harris adotta una scrittura contemporanea, frizzante, semplice ma non elementare e scandita da un giusto equilibrio tra frasi brevi e lunghe (un rapporto così bilanciato che me l’avrei parecchio a male se non lo prendessero in considerazione come esempio da imitare e glorificare nei manuali di scrittura creativa). Per incontrare il vocabolario e la fretta del consumatore moderno, il suo stile ha dovuto prendere necessariamente le distanze da quel conglomerato di kenningar e metafore di cui l’Edda di Snorri e l’Edda poetica si fanno portatrici (più dettagli: Wiki), ed è riuscito nel tentativo: Loki parla al lettore attraverso una prima persona onnisciente in pieno gergo del terzo millennio.

È una scelta, questa, che potrebbe far alzare un sopracciglio a chi, come me, ha visto nei miti e nelle saghe norreni quel meraviglioso connubio fra epicità, leggibilità e ricchezza linguistica che tanto ha viziato anche i lettori più affezionati di Tolkien (vedasi Il Silmarillion, o racconti eroici annessi). Ci si può chiedere se uno stile moderno sia adeguato per perpetuare idee e leggende in voga, anno più anno meno, attorno al periodo in cui Carlo Magno si vide apporre la corona sul capo. Tale scelta narrativa trova in realtà un movente nella narrazione degli eventi a posteriori: questo Loki è un narratore sopravvissuto al Ragnarök e i ricordi cui attinge per diffondere il proprio vangelo sono ormai vecchi di secoli. In quest’ottica, è facile vedere nella sua scrittura il naturale adattamento all’evoluzione di una lingua.

Per quanto concerne la tanto chiacchierata teoria dello show, don’t tell, mi tocca digrignare un po’ i denti – è il mio istinto latente di fan che mi porta a farlo – e ammetto di aver voltato pagina più volte, ma solo per vedere fin dove si prolungasse la muraglia cinese di testo e quante righe mi separassero ancora dal sollievo di un lungo discorso diretto, o di una descrizione tangibile. È proprio la mancanza di azioni a essere una costante del libro: perfino laddove la lunghezza del testo non avrebbe sofferto della scelta di un discorso diretto (il mostrare una scena ingombra nettamente di più del raccontarla), Joanne Harris preferisce, alle volte, imboccare la scorciatoia e sfruttare Loki come portavoce della battuta.

Si può obiettare che, essendo Il Canto del Ribelle configurato come un racconto, cioè un riassunto, l’atto di raccontare anziché mostrare è inevitabile. D’altronde, le saghe norrene che mi piacciono tanto costituiscono, penso, i massimi esempi di raccontato reperibili fra i confini della Terra e oltre. Eppure non riesco a togliermi dalla testa l’idea che avrei apprezzato di più il romanzo se la bilancia fra i due meccanismi narrativi fosse stata meglio calibrata, perché un conto è leggersi una saga da cinquanta pagine, un altro un libro da sei volte tanto.
Ma non arrovellatevi troppo nel dubbio: il ritmo scanzonato decantato nel primo paragrafo, autentica àncora di salvataggio, è di quelli che fanno odiare l’arrivo all’ultima pagina.


La narrazione

Bisogna ammettere che Harris ha svolto un accurato lavoro di riordino e siliconaggio. La trama ricalca fedelmente le vicende frammentarie del mito, ma l’intreccio de Il Canto del Ribelle è lineare e segue senza interruzioni un tracciato che sorge all’arrivo di Loki nel “mondo fisico” e tramonta con la fatale conclusione del Ragnarök. In tutto questo, Harris è stata cauta e ha preferito l’aggiungere al modificare: si è affidata all’immaginazione personale per riempire i vuoti fra un capitolo e l’altro e ha lasciato quasi invariato il resto. La modifica più ardita, credo, è quella che vede Loki come un demone fatto e finito anziché un gigante – è una visione un po’ cristianizzata del mito quella che cerca in Loki la rappresentazione del demone cristiano. Mi sfugge la considerazione che ha portato al cambiamento da jötunn a demone, ma non è un dettaglio per cui strapparsi i capelli.

Apriamo ora una parentesi sul mondo nordico e sul suo clima. Non ho, purtroppo, ritrovato quell’atmosfera antica che si respira invece fra le pagine dell’Edda o delle saghe norrene. Complice, forse, anche il mancato sostegno di un registro “eroico”, la Asgard dipinta da Loki scarseggia, insomma, di sostanza. Il narratore ha incanalato la sua attenzione verso i propri pensieri, le proprie sensazioni ed emozioni, nonché i propri pareri – nient’affatto lusinghieri – sulle divinità che lo circondano, offrendo al lettore molti streams of consciousness e ben pochi mattoni con cui costruirsi la realtà asgardiana fatta di sfarzo, oro, eserciti, crudezza; si nominano i nove mondi, ma non vengono fornite le coordinate con cui orientarsi fra di essi. Viene, in poche parole, lasciato troppo spazio a uno sviluppo interiore della vicenda a discapito – e qui mi ricollego alla tematica affrontata nello scorso paragrafo – di descrizioni concrete. Non interpretatelo come un parere lapidario: sono presenti descrizioni. Solo, troppo poche.

E qui arriviamo a un’altra piccola nota di demerito. S’è detto che la psiche delle divinità occupa il posto a capotavola nella narrazione, ma gli dèi rimangono monodimensionali. All’infuori del protagonista e di Odino, che mi sembrano essere personaggi a tutto tondo, gli altri paiono soccombere allo stereotipo e fossilizzarsi su una sola dimensione caratteriale che riflette la precisa natura di cui il dio è personificatore (come fra gli dèi romani o greci, c’è il dio della guerra, della poesia, della bellezza, della fertilità…). Così Thor è scazzoso per cinquantanove secondi al minuto, e via dicendo. Lo spazio di manovra era tanto e si sarebbe potuto fare di più.


Per concludere

Insomma, questo libro è meritorio di uno buco sullo scaffale? Rispondo con una frase equivoca: dipende da due variabili. La prima, se voi conoscete i miti norreni a menadito; la seconda, se voi siete fan dell’autrice o del protagonista condito in ogni salsa.

La scelta di Harris di mantenere il mito invariato, nel mio caso, è stata sia lodevole sia controproducente. Ho apprezzato la sua fedeltà al mito originale, ma è stata proprio la possibilità di un confronto fra le versioni, credo, a levarmi il gusto della lettura. La conoscenza pregressa dell’Edda e delle sue storie equivale a spoilerarsi il finale prima ancora di aprire il volume! Si tira avanti con le pagine, certo, ma capite che non ci sono più gli estremi per un effetto sorpresa perché chi è appassionato di mitologia norrena conosce già inizio, svolgimento e fine della storia.

A essere sincera, però, ho gradito molto l’abilità con cui Harris ha colmato i vuoti e impilato le carte in bell’ordine. Grazie al suo stile si sorride e si ride, anche. Alla luce di quanto detto, mi sento di dire che un posticino nella libreria glielo si trova facilmente. Se poi siete fan di Loki, tanto meglio.

Stellina per recensioni.
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La lepisma libraia

Libri cartacei o digitali? Entrambi!

Libri cartacei o digitali?

Il dibattito fra tradizione e tecnologia, libri cartacei e libri digitali, è all’ordine del giorno. Con una tecnologia sempre più imperante nelle nostre vite, il cartaceo sembra destinato a soccombere. Ma è davvero così? Stoccata dopo stoccata, vediamo come si conclude lo scontro all’alba del 2018.

 

Cartaceo… quanto mi pesi, mi costi, mi occupi!

Una delle prime questioni che rispondono alla chiamata alle armi di questo vis-a-vis è quella del peso. Non posso trascinare sull’autobus uno scaffale di libri (non passerebbe nemmeno dalla porta e, anche se potesse, penso sia vietato occupare il corridoio con bagagli ingombranti), ma posso tenere sempre a portata di borsa un’intera biblioteca virtuale. E se non posso coronare il mio sogno proibito di adibire una stanza a libreria per carenze di spazio, mi è dato riempire l’eReader con qualche migliaio di volumi per un peso complessivo di appena un paio di etti.

Senza tener conto, poi, del minor costo dei libri digitali rispetto al cartaceo. Se anche il guadagno si attesta a non più di un paio di euro su una nuova uscita, di questi tempi torna comodo risparmiare, soprattutto su quei libri che posso tollerare di possedere solo in formato file.

 

Gli evidenziatori fluo non usciranno mai di moda

Se c’è un ambiente nel quale il cartaceo la spunterà sempre sul digitale, è quello scolastico. Tra le funzionalità di tablet ed eReader si conta sì la possibilità di evidenziare paragrafi all’interno del libro, ma la piccola dimensione del testo combinata alla scarsa velocità di risposta tattile degli eReader a tecnologia eInk – quelli che riproducono l’esperienza visiva dell’inchiostro su carta – rende questi dispositivi inadatti allo studio e alla lettura di libri da consultazione.

Non solo: al fastidio di un feedback poco performante si associa l’affaticamento visivo. Questo problema è però solo a carico dei tablet e della loro malfamata retroilluminazione, perché buona parte degli eReader in commercio monta lucine imbucate sotto al bordo della scocca che garantiscono lunghe letture notturne nel pieno rispetto delle nostre retine.

 

Ma se devo evidenziare un libro di narrativa?

Ho questo incubo ricorrente in cui rinvengo sottolineature a biro in libri presi in prestito dalla biblioteca.

La sto un po’ buttando sull’iperbole, ma ai tempi dell’università, causa esami con bibliografie a chilometraggio illimitato, mi è capitato spesso di approfittare del prestito interbibliotecario per rintracciare il necessario allo studio. Vi risparmio i dettagli perché potrei urtare la vostra sensibilità (la mia è stata urtata, rivoltata e presa a calci).

Chi è dedito, senza per questo accusare vergogna, ad atti di imbrattamento di patrimonio pubblico (o privato) potrà non avere motivi per gioirsene, ma chi come me tiene sempre un bloc-notes nelle prossimità dell’angolo lettura pur di non macchiare un volume può rallegrarsi all’idea di evidenziare passaggi e frasi sporadiche direttamente sui propri libri digitali in modo del tutto provvisorio, senza commettere vilipendio su un solo centimetro di cellulosa.

 

Sniff sniff

Le percezioni sensoriali che derivano dalla lettura di un libro cartaceo possono dare assuefazione. Ogni libro stampato ha un proprio odore – dolce, penetrante, intossicante – e una propria consistenza fra le dita. Il fruscio delle pagine scandisce il ritmo con cui divoriamo una facciata dopo l’altra.

Tablet ed eReader, al contrario, emanano giusto una zaffata di plastica e cartoncino da imballo nei primi cinque minuti che seguono all’apertura della confezione, dopodiché le particelle di buono si disperdono nell’aria per mai più tornare a deliziarci l’olfatto. Il polpastrello dell’indice scorre le schermate nel più assoluto dei silenzi.

 

Stangata al dendrocidio

L’idea che siano stati abbattuti alberi per stampare centinaia, migliaia di copie di libri di cui l’umanità potrebbe fare volentieri a meno mi turba.

Non possiamo, invece, fare a meno dell’ossigeno. Comprimendo la storia della Terra in 24 ore emerge che noi umani non camminiamo sul pianeta che da due minuti, e che in pochi secondi siamo riusciti nella mirabile impresa di dimezzare il numero di alberi sulla sua superficie. La produzione di carta destinata alla stampa dei libri incide in numeri a singola cifra sulle percentuali di disboscamento, ma è un impatto che non può essere ignorato.

Sebbene i lettori eReader non esibiscano mostrine per la loro eco-sostenibilità, se siamo dei lettori forti possiamo ammortizzare l’acquisto (economicamente ed ecologicamente parlando) con qualche decina di libri in versione digitale.

La medaglia eco-friendly la riscuotono, ovviamente, le biblioteche.

 

Dove te lo firmo, questo eBook?

Disse lo scrittore autografante posto di fronte a un eReader.

Qualche anno or sono (ma, stante la mia pessima concezione del tempo, potrebbe anche essere il mese scorso) IBS mi ha sorpreso inviandomi una copia autografata di Olga di carta. La custodisco tuttora con gelosia di fianco agli altri libri di Elisabetta Gnone, tanto da aver conservato perfino il foglietto accluso all’ordine, in cui mi si scrive: “Gentile cliente, IBS ha pensato di fare cosa gradita inviandole una copia del libro firmato dall’autore”.

Quale supporto scrittorio abbiamo a disposizione per i libri digitali? Si potrebbe ovviare presentando allo scrittore una stampa della copertina, ma questo tipo di firma sarà sempre un qualcosa a parte, pur se la infiliamo, a mo’ di segnaposto, fra le pagine di una copia fisica del libro comprata a posteriori dopo essere stati colpiti da un’acuta crisi di rammarico. Basta un gesto perché le due cose, autografo e libro, si scindano.

L’autografo diretto sul cartaceo diventa invece parte integrante del libro stesso e ne aumenta il valore. Non lo si può togliere a meno di strappare di netto la pagina su cui è stato vergato – e chi è quel bruto che si macchierebbe di un tale delitto?

 

Autografo di Elisabetta Gnone. Olga di carta.

 

L’indispensabilità di un dizionario

Gli eReader arrivano nei negozi già installati con tutto l’occorrente per lo studente d’inglese. Se vi piace leggere libri in lingua originale, apprezzerete il vantaggio di cliccare su un termine e richiamarne istantaneamente la definizione sullo schermo. Collegando il dispositivo a una rete internet potrete anche integrare le informazioni da Wikipedia e ottenere la traduzione della parola in italiano.

Per certi libri digitali in lingua inglese è inoltre disponibile la funzione Word Wise. Se attivata, questa funzionalità disegna una linea tratteggiata sotto alle parole più complesse e ne visualizza la definizione nell’interlinea appena sopra di esse. Potete anche regolare la difficoltà dei termini da mostrare in base alle vostre capacità. E, ovviamente, salvare le parole più interessanti con un tocco dell’indice. Che pacchia!

 

Se lo condivido, vado nei guai

La condivisione di materiale cartaceo fra amici è semplice. Lo scambio dura il tempo di un passaggio di mano e la durata dell’affitto – o del sequestro di ostaggio – può protrarsi anche per mesi, ma tutti saranno concordi con me nel dire che non serve un QI einsteiniano per prestare un libro a un amico (giusto un po’ di fiducia e generosità, ecco).

Queste virtù si scontrano però con barriere antisfondamento quando dalla carta si passa ai formati digitali firmati da DRM. Gli eBook che si comprano online sono protetti da stringhe di codice (DRM, appunto) che impongono dei paletti alla lettura del file su più dispositivi, per cui solo quelli associati all’account da cui si ha effettuato l’acquisto sono autorizzati ad aprire il libro. Non solo: questo codice impedisce qualsiasi conversione immediata in altro formato più “libero da vincoli”.

Siccome rimuovere i DRM implica una padronanza informatica estranea ai più, nonché una bella violazione della legge sul copyright, non è possibile imprestare libri digitali perché questi ultimi contengono restrizioni ad hoc per i nostri dispositivi.

 

Quella parete tappezzata di libri

Magneti per polvere, lepisme e occhi umani. Nessuno rimane insensibile al fascino esercitato da una libreria strabordante di volumi. Ho voluto specificare occhi umani perché dopo otto anni di convivenza con un felino ho capito che i gatti li vedono semplicemente come torreggianti grattatoi per guance.

 

Compro, scarico, leggo

Internet disse: “Sia fatto l’acquisto!”. E l’acquisto fu.

Il tutto occupa un arco di tempo che comincia alla pressione di un tasto e finisce quando l’ultimo byte del libro viene scaricato e immagazzinato nella memoria del nostro dispositivo. Nella realtà, questo si traduce in un periodo che oscilla dai due ai dieci secondi, dipendentemente dalla velocità della nostra connessione e dalla dimensione del file da scaricare.

Il tempo di girare la chiave nel quadro col proposito di una puntatina in libreria, insomma.

 

Il piacere di cincischiare in libreria

D’altro canto, nessun acquisto virtuale può battere l’esperienza di un pomeriggio trascorso a gironzolare fra scaffali di potenziali acquisti. Si incontra gente, si interagisce con gente, si studia gente. È divertente organizzare i bazzicatori per categorie e studiarne il comportamento: i più affezionati che si raggruppano in crocchi appostandosi alle porte prima dell’orario di apertura (presente!), quelli dall’itinerario predefinito che tirano dritti al volume prescelto, quelli che invece di tempo ne hanno in abbondanza e scandagliano tutto il ben di Dio sugli espositori col cipiglio critico con cui si scelgono le mele meno ammaccate al banco dell’ortofrutta…

 

Tipografia a prova di ipovedente

Non sono ipermetrope, ma mi piace comunque leggere a caratteri larghi e con un’interlinea decente.

La dimensione e la scelta dei caratteri su carta riflettono le esigenze e i gusti di una casa editrice. I libri occupano spazio, dopotutto, e anche uno scritto relativamente breve come Il vicario, cari voi può lievitare a malloppo in stile Il Signore degli Anelli se stampato a carattere 40. Ma se i testi sono troppo piccoli? Se preferiamo un font sans-serif? Non è detto che i gusti della casa editrice rispecchino i nostri.

Gli eBook propongono tutta una serie di opzioni tipografiche che li rendono molto più flessibili. È possibile specificare il tipo e la dimensione del carattere, l’altezza dell’interlinea, la direzione di allineamento e tanto altro.

 

Batteria, batteria, non lasciarmi, anima mia!

Il sole ha raggiunto lo zenit e gli ioni di litio vi hanno appena augurato la buonanotte. Potete scrollare il vostro tablet/eReader come il cassettone di un flipper (ma rischiate di mandarlo in tilt, perciò non fatelo), o tormentare invano il pulsante di accensione.

Mentre voi vi strappate i capelli e producete scintille digrignando i denti, autolanciandovi strali e maledizioni per non aver fatto il pieno di energia prima di uscire di casa, sappiate che da qualche parte c’è un lettore tradizionale che si gusta una tazza di tè davanti all’eternità rassicurante della carta stampata.

 

E se cade, e se si rompe?

Scongiurato il disagio di una batteria a terra tramite l’acquisto di una power bank ad alta capienza, basta un guasto in un componente elettronico per interrompere l’idillio con la tecnologia. Allora dovrete affidarvi all’assistenza tecnica e sperare che arriviate alla fine della riparazione senza rodervi le unghie fino alle cuticole, perché non basterà uno schiocco di dita per vedervi riconsegnare il vostro aggeggio in tutta la sua ricondizionata gloria. Che prospetto orrendo, quello di mettere in stallo la lettura a tempo indeterminato.

La carta è concepita per crogiolare su uno scaffale per decenni (sempre che non ci siano lepisme in agguato!), al contrario di un chip che, bisogna dirlo, il più delle volte è progettato per coprire un tempo di funzionamento poco superiore alla durata della garanzia.

 

Arte e fumettistica a centottanta gradi

A novembre mi sono procurata l’artbook di Thor: Ragnarok. Pesa come un vitellino ed è largo quasi il doppio di un comune romanzo rilegato.

Acquistare libri d’arte in forma digitale non avrebbe senso per due motivi: primo, non tutti i lettori di eBook supportano i colori; secondo (e secondo me), la (bella) arte va goduta, ammirata e possibilmente venerata su superfici di dimensioni tali da suscitare l’impressione di tuffarsi nelle immagini. Chi macina vasche in piscina quando ha il mare a due passi? E quant’è grande lo schermo di un Kindle, 16 x 11 cm? A voi il calcolo delle proporzioni.

 

Artbook di Thor: Ragnarok VS Kindle.

 

Il bassotto mira al digitale

Non si è mai sentito che un ladro improvvisi un colpo sfondando il vetro di un’auto per prelevarne il libro appoggiato sul cruscotto.

Un eReader, per contro, come una radio estraibile, aizza la cleptomania del topo d’auto di passaggio a livelli allarmanti. Senza contare che, se il sole è libero di abbattersi sull’interno della macchina, il gadget tecnologico rischia di surriscaldarsi con tutto ciò che ne consegue in fatto di danneggiamento dei componenti elettronici.

La stessa cautela è da osservarsi in qualsiasi luogo pubblico, naturalmente.

 

Quei poveri libri nel dimenticatoio

Catalogo cartaceo che lasci, equivalente digitale che trovi?

Libri che minacciano di scomparire per sempre dagli scaffali possono sopravvivere in formato file.

La realtà in trasparenza. Lettere di Tolkien, dopo una prima edizione non troppo fortunata, è rimasto fuori catalogo per anni ed è uno dei pochi, dei pochissimi a essere stato graziato e riaccolto di recente fra i ranghi sugli scaffali delle librerie. La Bompiani, infatti, ha rilasciato questo gennaio una nuova edizione della raccolta, dal titolo Lettere (1914-1973). Ad essere stato rivoluzionato non è solo il comparto grafico ma anche il contenuto stesso: si tratta di una completa ritraduzione.

Qual è il destino di tutti quegli altri libri cartacei fuori catalogo che non vantano un futuro così roseo, libri per cui non è prevista, né ora né mai, una ristampa o una nuova edizione causa costi proibitivi?

Li si potrebbe digitalizzare. E i costi di tipografia *puff* evaporerebbero. Al momento attuale i cataloghi dei libri cartacei sono molto più corposi di quelli del digitale, ma mi aspetto, in virtù delle ragioni esposte, un’inversione di tendenza in tempi non troppo lunghi.

 

Tirando le somme…

Stante la carrellata di pregi e difetti illustrata sopra, il cartaceo pare imporsi sul digitale con un leggerissimo scarto, ma possiamo davvero parlare di vittoria assoluta? O siamo di fronte a un caso di vittoria relativa, per cui la preferenza verso l’una o l’altra modalità di lettura dipende, in ultima istanza, dall’uso che ne dobbiamo fare?

La parola alle vostre esperienze di lettori!

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Compra due classici Feltrinelli e ricevi una coperta

Coperte di pile IBS.

È di questi giorni l’iniziativa lanciata da IBS che permette, attraverso l’acquisto di due libri tascabili della collana Universale Economica Feltrinelli, di ricevere in omaggio una coperta di pile ispirata ai grandi classici della letteratura. Tre sono le “copertine” da 180 x 120 cm: Peter Pan, Tenera è la notte e Tropico del Cancro.

 

Come partecipare all’iniziativa

Per prima cosa, collegatevi alla pagina di IBS destinata all’offerta. Da qui potete sfogliare il catalogo dei classici Feltrinelli e aggiungere al carrello quelli che più vi interessano, per un minimo di due libri. Nulla vi vieta, una volta scelta l’accoppiata, di riempire il carrello con altri prodotti, anche di altre collane non aderenti all’iniziativa. L’offerta, valida fino al 18 febbraio 2018, è resa ancora più ghiotta da uno sconto del 15% su tutti i libri della collana UE Feltrinelli.

Fatta la dovuta spesa, inserite la coperta nel carrello e completate l’ordine normalmente. Se avete seguito tutti i passaggi, nella pagina di check-out, appena sotto la finestra di riepilogo dell’ordine, dovrebbe comparire la seguente scritta: Complimenti! Hai acquistato 2 libri Feltrinelli UE tascabili: in omaggio per te una coperta in pile.

 

Tre fantastiche coperte, ma…

Se la fortuna vi assiste, troverete nel pacco la vostra copertina preferita (e se non avete preferenze particolari, tanto meglio). IBS, infatti, non dà la possibilità di scegliere quale delle tre versioni della coperta aggiungere al proprio carrello, perché in fondo alla home page dell’iniziativa si legge: Ogni cliente avrà diritto a un solo omaggio per ogni atto d’acquisto. Tutti i clienti che effettueranno un acquisto sul sito di 2 libri Universale Economica Feltrinelli potranno ricevere gratuitamente una coperta a sorpresa tra le tre proposte.

Qui trovate il regolamento completo dell’offerta.

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